Missioni 2019 Perù

Ciò che “uccide” non è la malattia, ma l’essere invisibili

Da molti punti di vista il venerdì non è molto diverso dai giorni passati. La sveglia è stata però 15 prima del solito, per problemi logistici degli orari di altre attività qua dove dormiamo e mangiamo. Di conseguenza si inizia anche poco prima con il lavoro nel cantiere, i ragazzi vengono divisi in gruppi e si ricomincia con la missione. È il quinto giorno di lavoro pesante (tranne che per 10 ragazzi scelti tra i più grossi, ma anche “casinisti” che sabato dovranno partire un’ora prima degli altri per poter finire con i lavori in cemento) e sabato sarà una giornata dedicata alla sistemazione e pulizia del posto. La nostra troppa di elite è stata scelta dai ragazzi universitari dello staff, che hanno seguito i lavori durante tutta la settimana e sanno bene su chi contare. Saranno loro, con il mio “ok”, a scegliere i 14 futuri capo squadra per i giorni che trascorreremo a Cañete costruendo 28 case pre fabbricate. E in questa scelta, come l’anno scorso, non esistono preferenze tra chi viene per la seconda volta e chi viene per la prima, gli unici criteri di scelta sono l’atteggiamento durante questa prima settimana di costruzione insieme alle capacità di guidare una squadra. So già che la scelta sarà tosta, soprattutto in base al primo criterio, perché pur essendoci qualche ragazzo poco più vivace degli altri, devo dire che nel lavoro sono stati tutti molto generosi, entusiasti e allegri, creando tra di loro un ambiente di lavoro molto gradevole. 

Venerdì è anche stato l’ultimo giorno per visitare le diverse istituzioni in cui siamo stati divisi da lunedì, e quindi l’ultima volta, al meno quest’anno, in cui passeremo del tempo con quei bambini e anziane che hanno passato dei pomeriggi con noi, rubando in molti casi un pezzo di cuore dei ragazzi. In ogni posto visitato i ragazzi si sono organizzati per donare loro qualcosa di diverso di quanto fatto in questi ultimi giorni. Diciamo che con i bambini è abbastanza facile, i gruppi sono andati in giro a comprare un po di merendine e hanno organizzato una piccola festa, comprando anche per dei bambini qualche regalo e donando loro quanto portato dall’Italia. 

Nella casa delle anziane abbandonate invece ci vuole un po più di creatività, e attenzione, sono persone che dal punto di vista sono molto fragili, piccoline, e a volte neanche loro stesse sono consapevoli fino a dove possono o non possono arrivare. Alla fine in qualche modo ci si organizza per portarle in giro nel centro della città nelle loro sedie a rotelle. Erano felicissime, e i ragazzi si sono divertiti veramente tanto, a tratti simulando un vero e proprio gp per le strade, un po disastrate a causa dei lavori, del centro storico di Arequipa. 

Considerando che domenica saremo divisi in due gruppi, chi va a Cusco e chi va a Nazca, e non ci sarà con noi padre Gonzalo, e tenendo conto che le feste di precetto sono due, quella del 29 giugno di San Pietro e San Paolo e quella propria della domenica, decidiamo di fare le messe rispettivamente oggi e sabato. Nella messa di oggi, quindi celebrando Pietro e Paolo, quando è arrivato il momento delle intenzioni, il padre ha avuto la geniale idea, dopo aver chiesto di esprimere le nostre intenzioni senza paura a voce alta così che tutti possano pregare per esse, di chiedere uno ad uno il nome di una persona che li è rimasta nel cuore tra quelle che ha conosciuto in questi giorni. Così uno a uno, in quella piccola cappella riempita da un centinaio tra adolescenti e giovani, ha detto il nome di quel bambino o bambina o quella anziana con cui ha passato del tempo in questi giorni. Immaginerete che il giro è durato un po, e nel silenzio piano piano lo spazio si riempiva con tutti questi nomi… finalmente arrivano le parole del padre, che chiede Dio di prendersi cura di ognuna di quelle persone. È stato molto bello, ed è riuscito molto bene. 

Oggi il pensiero va a tutte queste persone che i ragazzi hanno incontrato in questi giorni, e alla lezione di vita che in qualche modo ci hanno dato. Non ce molto da dire, o meglio si potrebbero sicuramente dire tante cose, ma il messaggio, l’insegnamento è chiaro quanto coinciso. Non sono le nostre malattie o sofferenze in generale a farci morire lentamente in vita. Probabilmente l’esperienza di chi è stato rifiutato da chi più doveva garantirti l’amore nel caso degli orfani, o quella di chi è stato messo da parte in quanto ritenuto un intralcio a causa dell’età se vediamo le anziane abbandonate, sono qualcosa di molto difficile da accettare e integrare nella propria vita. “Perché a me?” sono le parole che ognuno di noi pronuncia nel proprio cuore quando passa per un momento difficile, e loro, i bambini e gli anziani, e anche i malati, non sono l’eccezione a questa domanda, domanda che forse non pronunciano solo nel proprio cuore ma che strillano ai quattro venti. Io stesso non saprei che sguardo avere su di me o sulla mia vita se fossi stato messo da parte così, tra l’altro nel momento di maggiore fragilità, quando ciò che è più importante da garantire a una chiunque persona è proprio l’esperienza dell’amore. Ebbene, nonostante un’esperienza dura come questa, ha la possibilità di salvezza quando arriva un qualcuno, uno sguardo, che ti ricorda che sei amato, che conti, che vai bene così, e che per questo qualcuno, anche se per pochi giorni, starai al centro delle sue attenzioni, non sarai più invisibile, ma diventerai in qualche modo quel invisible che è l’essenziale, quell’invisibile che nel rendersi visibile diventa possibilità di un amore concreto e disinteressato. È in fin dei conti, l’invisibilità, l’anonimato, a ucciderci in vita, quando siamo “oggetto” dell’indifferenza. 

La giornata conclude con un incontro in auditorio, dove leggiamo i nomi della squadra delle forze speciali che dovrà concludere il cemento. Leggo nel fogliettino che mi ha fatto arrivare uno dei ragazzi dello staff: Pietro (quello grosso), Perani, Pedersoli, Dino, Giacomo (Rondoni), Tommaso Enrico, Pietro d’Orazio, Lodo Sturani, Tommy Sassoli, Giacomo Roncoroni. In seguito i ragazzi restano in auditorio per fare la meditazione personale sul seme e la sabbia mentre le ragazze vengono divise in cinque gruppi per la riflessione di gruppo.