Missioni 2018 Ecuador e Perù

Diventare adulti significa diventare responsabili dell’amore

Oggi ho decisamente esagerato… ho voluto riprendere, dopo 4 settimane di missioni, la mia bellissima abitudine, e passione, della corsa. Ovviamente non ho voluto esagerare, e ho fatto solo poco più di 5km, finendo nel forno che ci vende il pane di ogni giorno. Tornato a casa verso le 07.10 ho svegliato in fretta i ragazzi, che dormivano praticamente dalle 23 del giorno prima; 07:30 preghiera del mattino e poi colazione. Perché ho esagerato? Perché sono le 23 e qualcosa di notte e sono veramente morto, con la schiena a pezzi e le braccia addolorate! 

Qua i pasti sono un po caotici, cioè, è praticamente un’autogestione, e il posto non è per niente attrezzato, non è importante, lo spirito del gruppo, del servizio, e la gioia di stare insieme ancora una “vacanza” per fare del bene, aiutano a trascendere qualsiasi fastidio si presenti, o meno quasi tutti!

Siamo partiti verso le 08:45 in un pullman verso Canoa, a 15km, in realtà fuori Canoa, in una zona che si chiama Manzanillo. Arrivando abbiamo trovato un trailer immenso da scaricare, i pezzi delle prime 6 case che costruiremo tra venerdì e sabato. Queste case sono due volte più spaziose di quelle che facciamo in Perù, e vengono costruite sulle palafitte considerando che in questa zona quando piove, piove veramente tanto! Oggi è stata senz’altro la giornata più faticosa, scaricare il camion e poi portare i pezzi di tutte le case nei terreni delle prime sei famiglie è stato un lavoro che è durato dalle 9 del mattino fino alle 18.15. Direi che abbiamo fatto anche lunghe pause, ma non sarebbe vero, ci siamo fermati un attimo alle 11.30 quando abbiamo finito di scaricare il camion, e abbiamo fatto una merenda pazzesca che ci hanno preparato le persone di quella comunità: panini, banane, “dulce de leche”, polpette, “cheese fingers”, insomma, un bel po di roba. Poi abbiamo portato i pezzi della casa che sta più lontano, a 800 metri da dove abbiamo scaricato, facendo una vera corsa a squadre. Abbiamo pranzato verso le 14:30, in una cucina comune, un bel piatto di riso cucinato dalle sei famiglie che stiamo aiutando questi primi tre giorni; e poi ogni squadra ha portato i pezzi delle case finché non era tutto fatto, cioè, come ho già detto, le 18:15. Ogni squadra è composta da 8 tra ragazzi e ragazze, e il caposquadra qua in Ecuador è un maschio (a Cañete, dove lavoreremo con 12 squadre, tutti i caposquadra saranno femmine). 

Il pullman ci ha messo 15 minuti per arrivare a casa, doccia per tutti, qualche pazzo ha fatto pure il tufo in mare, e alle 20.00 siamo partiti verso la parrocchia per fare l’adorazione e il rosario. La meditazione durante l’adorazione è stata questa, che è da dove è uscito il titolo di questo post. Dopo la preghiera siamo tornati a casa per mangiare, ma prima abbiamo accolto Antonio, appena arrivato. Dopo mangiato abbiamo fatto una brevissima preghiera per chiudere la giornata, e poi tutti, o quasi, a letto. I ragazzi erano veramente stravolti, stanchissimi da tutto il lavoro svolto, non soltanto per le quantità di ore di attività fisica ma soprattutto dai pesi che abbiamo portato lungo la giornata. Penso che non ce uno di noi a cui non facciano veramente tanto male i muscoli. Non è comunque un’esperienza nuova, essere veramente stravolti, ma provare una certa gioia interiore, una pace che inonda il gruppo, un finire la giornata con un sorriso frutto del saper aver dato un senso alle ore della giornata, un senso che poi trova il suo fondamento nella donazione verso gli altri, con un sorriso in faccia e lo spirito di gruppo che un po ti sorregge. 

Date le condizioni della giornata, cioè dover scaricare in fretta il camion e distribuire i pezzi delle case prima che faccia buio, abbiamo avuto poco tempo per stare con le famiglie. Ho avuto la possibilità di entrare in una delle tende, perché quasi tutte queste famiglie, da due anni quando è accaduto il terremoto, vivono in tende, a contatto con la terra, dove in un solo ambiente, due al massimo separato uno dall’altro con una tovaglia, accumunano salotto, sala di pranzo, un letto dove dormono 4 persone e la cucina… diciamo che non ci sorprende, abbiamo tutti visto come vivono le persone per le quali costruiamo in Perù da anni… forse che non ci sorprende non è proprio esatto, non ci è nuovo, ma sorprende sempre, trovare persone che vivono così e a cui non manca il sorriso. Beata povertà che consente questo stacco dal superfluo, e invita all’attaccamento a ciò che veramente può contare, e che può sorreggere una vita dove manca tutto, a volte persino la dignità. Ma sarà veramente la povertà ciò che consente questo frutto? Credo che la povertà non è definitivamente una condizione da essere desiderata per se stessa, non credo che loro per primi la sceglierebbero se fosse in loro mano farlo o meno… credo che la povertà è un’occasione, come la sofferenza, beh alla fine la povertà è probabilmente uno stato di sofferenza, che consente l’uomo di accogliere nella propria vita ciò che veramente conta, ed essere grati di quello… alla fine, l’alternativa alla speranza è la disperazione, e nessuno vuole finire in quel vortice. 

Spogli di tutto, o quasi, abbiamo veramente la possibilità di cogliere nella propria vita, nella vita dell’altro, ciò che veramente conta: la gratitudine, la gentilezza, la disponibilità, la disposizione, la sola presenza, anche i sorrisi, le mani tese, le spalle che sorreggono e i passi che accompagnano. Abbiamo la possibilità di amare e diventare adulti appunto di usare responsabilmente la nostra libertà amando, uscendo da noi stessi e mettendo noi stessi un po da parte, per pensare ad un altro che ha più bisogno di noi. E qua in Ecuador, a Canoa, tutto questo diventa più esigente e per quello più puro, perché qua le famiglie, le persone, sono molto chiuse, almeno molto più di quelle che abbiamo trovato in Perù, e fanno fatica, tanta, a essere socievoli con questi rumorosi ragazzi italiani! Intimiditi anche da quanto sono ingombranti, ci guardano un po in disparte, senza farci capire se sono grati o meno. Io, lo so che sono molto grati, ma tanto tanto, ma si vergognano, e preferiscono stare in disparte… ma i ragazzi non lo sanno, ed è pò tosto stare lì a faticare tutto il giorno e pur sapendo che si fa tutto questo in modo gratuito, aspettarsi sempre qualcosa.. ecco per quello dico che in questo senso l’esperienza qua è più ricca, perché insegna a donarsi rinunciando ai frutti, al ritorno delle proprie azioni, che per carità è qualcosa di molto umano… ma fare le cose solo per amore e per donarsi ad un altro senza aspettarsi nulla in cambio, neanche un grazie, … è divino.