Missioni 2018 Ecuador e Perù

Due giorni alla partenza!

Tra qualche ora, noi rimasti a Lima dalla partenza del gruppo dei “piccoli”, saremo in volo verso Guayaquil, in Ecuador. Siamo rimasti 4 consacrati e i 5 ragazzi dello staff universitario, e a noi si è aggiunta una ragazza universitaria arrivata da Milano. Il nostro cameraman invece sta già in Ecuador da qualche giorno. 

Mercoledì fu un giorno di riposo totale, cioè, la sveglia era prevista per non prima delle 11, beati gli altri! Io sono dovuto andare in banca per rimediare un po di contanti per la spesa che affronteremo durante la costruzione della case in Ecuador. Giovedì e venerdì invece sono stati giorni molto simili: adorazione eucaristica la mattina, per ricaricarsi e riposarsi nello spirito, e poi tre ore di assistenza ai bambini di una scuola fantastica: La Alegría en el Señor, gestita da una comunità di suore di nome Serve del Piano di Dio. Ci sono poco più di 100 bambini in tutte le età scolastiche, tutti proveniente da famiglie molto povere e tutti con qualche disabilità fisica, infatti quasi tutti girano nei corridoi nelle loro sedie a rotelle, e quelli che camminano lo fanno con difficoltà. La giornata si svolge prima nelle loro classi, dove li aiutiamo con i compiti, molti di loro non riescono a muovere bene le mani o le braccia. Si conclude con il pranzo, li accompagniamo e li diamo da mangiare in bocca. Per tantissimi di loro sarà l’unico pasto in tutta la giornata…

E finora detto così quasi quasi che verrebbe da rattristarsi tantissimo, ma poi se li vedi, hanno una marcia in più. Loro vengono ogni giorno rassicurati dall’amore, quell’amore che ti ricorda che non saranno le tue capacità o le tue possibilità motorie a definirti come persona. Per carità, evidentemente hanno dei limiti grandissimi, ma il bello è come questo limite non viene visto come una condanna all’infelicità o a una tragedia, ma a una occasione per apprezzarsi e amarsi a partire da tante altre realtà probabilmente più importanti o nobili. Penso, in questo momento e senza escludere altre cose più importanti, alla capacità che hanno di tirare fuori in quanti li circondano la generosità, l’attenzione, una gioia in mezzo a quel dolore, ma soprattutto la forza della loro testimonianza che ti ricorda di essere grato e di apprezzare, sfruttando, le capacità e possibilità che Dio ti ha donato. 

E in tutto questo mare di pensieri non poteva non venire in mente una storia che in uno dei suoi libri, in realtà in più di uno, il cardinale Comastri racconta su un incontro avvenuto nella metropolitana di Milano. 

In una stazione della metropolitana di Milano, nel 1968 apparve questa scritta: “Dio è la risposta!”. Dopo alcuni giorni un’altra mano aggiunse sotto: “E qual è la domanda?”. Molti giovani non la conoscono più, perché non sanno più che il senso della vita è il dono di sé attraverso un “sì” libero, che Dio stesso aspetta per riempirlo di felicità.  Dobbiamo rimettere in moto una nuova passione educativa, che restituisca alle nuove generazioni il gusto del “sì” attraverso il dono di se stessi. Desidero, a tale proposito, raccontarvi una storia illuminante. Nel mese di giugno dell’anno 2001 ho avuto un incontro indimenticabile. Erano le dieci di sera: avevamo appena terminato la preghiera serale e la piazza del Santuario di Loreto si animava di voci, di saluti, di sorrisi e di “buona notte”. Mi accosto a una culletta, ma non vedo un bambino bensì una donna adulta, un piccolissimo corpo (58 centimetri!) con un volto splendidamente sorridente. Tendo la mano per salutare, ma l’ammalata con gentilezza mi risponde: “Padre, non posso darle la mano, perché potrebbe fratturarmi le dita: io soffro di osteogenesi imperfetta e le mie ossa sono fragilissime. Voglia scusarmi”. Non c’era nulla da scusare. Rimasi affascinato dalla serenità e dalla dolcezza dell’ammalata e volevo sapere qualcosa di più della sua vita. Mi prevenne e mi disse: “Padre, sotto il cuscino della mia culletta c’è un piccolo diario. È la mia storia! Se ha tempo, può leggerla”. Presi i fogli e lessi il titolo: Felice di vivere! I miei occhi tornarono a guardare quel  mistero di gioia crocifissa e domandai: “Perché sei felice di vivere? Puoi anticiparmi qualcosa di quello che hai scritto?”. Ecco la risposta che consegno a tutti coloro che amano veramente e lealmente i giovani: “Padre, lei vede le mie condizioni … ma la cosa più triste è la mia storia! Potrei intitolarla così: abbandono! Eppure sono felice, perché ho capito qual è la mia vocazione. 
Io, per un disegno d’amore del Signore, esisto per gridare a coloro che hanno la salute: ‘Non avete il diritto di tenerla per voi, la dove donare a chi non ce l’ha, altrimenti la salute marcirà nell’egoismo e non vi darà felicità’.
Io esisto per gridare a coloro che si annoiano: ‘Le ore in cui voi vi annoiate …. Mancano a qualcuno che ha bisogno di affetto, di cure, di premure, di compagnia; se non regalerete quelle ore, esse marciranno e non vi daranno felicità’.
Io esisto per gridare a coloro che vivono di notte e corrono da una discoteca all’altra: ‘Quelle notti; sappia telo, mancano, drammaticamente mancano a tanti ammalati, a tanti anziani, a tante persone sole che aspettano una mano che asciughi una lacrima: quelle lacrime mancano anche a voi, perché esse sono il seme della gioia vera! Regalate le notti che ora sciupate inutilmente, altrimenti esse saranno la tomba della vostra felicità’”.
Io guardavo l’ammalata, che parlava dal suo pulpito autorevole: il pulpito del dolore! Non osavo commentare, perché tutto era stupendamente e drammaticamente vero. L’ammalata aggiunse: “Padre, non è bella la mia vocazione?”. Risposi abbassando la testa: ero d’accordo!

Ecco, come detto prima, tra qualche ora voliamo, saremo due notti a Guayaquil e poi ci separeremo. Il gruppo andrà a San Vicente di Canoa, dove costruiremo 12 case. Prepareranno il tutto, la casa, la spesa, e le coordinazioni con la  parrocchia per i momenti di preghiera. Io volerò a Quito dove riceverò i 50 ragazzi in arrivo. Passeremo una notte a Quito, e martedì mattina prenderemo un aereo per Manta, l’aeroporto più vicino a San Vicente, per dire, perché ci toccheranno comunque due ore di pullman.