Missioni 2019 Perù

Per costruire a volte dobbiamo prima demolire

Ormai la sveglia delle 6:30 è diventata un classico, bisogno approfittare bene la giornata senza sacrificare le attività serali… Poi una cosa sorprendente dei ragazzi è che pur sapendo che il giorno dopo si devono svegliare alle 6:30, e pur finendo le attività verso le 11 di sera, non è che vanno di corsa a dormire, stanno fino a mezzanotte in giro a chiacchierare… e a dire il vero potrebbero andare ben oltre se non fosse perché i ragazzi dello staff, arrivata la mezzanotte iniziano a spedirli nelle loro stanze. 

Preghiera del mattino e colazione alle 7, e partenza verso le 8. Verso le 9 siamo già nella baraccopoli che quest’anno ci accoglie. Pian piano che scendiamo dai pullman ci distribuiamo nei nostri gruppi e si va a lavorare. L’obbiettivo della giornata è completare una casa e arrivare al meno fino alla struttura del tetto della seconda casa per gruppo. Devo dire che praticamente tutti i gruppi ce l’hanno fatta. Come ho già accennato qualche giorno fa, sono i giorni più difficili, la stanchezza si sente molto di più, ma sono anche in un certo senso i giorni più felici. E in un altro senso sono i giorni che alcuni vivono con una certa preoccupazione. Da una parte la voglia di tornare a casa, dall’altra la paura di perdere un qualcosa che vivendolo qua, a molti di loro, ha dato una felicità diversa, un senso diverso, una serenità particolare quanto ambita. 

Si lavora quindi per 4/5 ore di fila, una breve pausa pranzo e poi si prosegue per altre 3 ore fino alle 17. Abbiamo deciso di fare la messa domenicale oggi, sabato, visto che domenica ci sono troppi impegni e si rischia di fare tutto all’ultimo. Alle 19:30 quindi ci incontriamo nel nostro auditorio/cappella o cappella/auditorio, allestito dal padre e dal team liturgico, cioè Dani e Juanfer. 

L’omelia di padre Gonzalo è arrivata dal cielo proprio. Cioè sicuramente per i ragazzi sono state delle parole importanti e belle. E per me fonte di ispirazione di questo post, dinanzi al quale, tra fatica e tante cose dette ogni giorno, non sapevo bene cosa dire, scrivere, fino al momento dell’omelia. Le case in questi giorni hanno preso forma, e alla fine della giornata di oggi i risultati erano molto evidenti. Ma dietro questo ce tutto uno sforzo, e non parlo dello sforzo dei ragazzi, ma di quello fisico e insieme interiore delle famiglie per cui viene costruita la casa. Poter avere la casa nuova, vuol dire tirare giù la casa vecchia. È una casa vecchia nella quale probabilmente la famiglia ha più di 3/4 anni. La casa vecchia, è brutta, è indegna sicuramente, e viene rimossa con un senso di speranza, ma è anche vero che è frutto di anni di lavoro, di sforzo, di impegno, di soldini risparmiati con pazienza, nell’attesa di trovare qualcosa di meglio, di costruirsi un riparo. Tirare giù tutto ciò, è veramente un’esperienza dura. È far venire a meno qualcosa che è frutto di sacrificio, è tirare giù qualcosa che ti è servito di riparo per anni, e che custodisce, nonostante tutte le possibili scomodità e sofferenze, anche tanti bei ricordi. È una cosa che è stata testimonio della vita di queste persone per anni. Bene, tirarla giù non è facile e potrebbe anche far paura. Ma ciò che ti porta a farlo, a rimuovere la casa vecchia, è la speranza, certezza, che ce qualcosa di più grande e bello in gioco, e così ogni sacrificio può valere la pena. Questo è un po l’invito rivolto a tutti noi da quest’esperienza. Anche noi abbiamo costruito una casa, con fatica, con cose belle, ma anche cose non così belle, frutto da tutte le esperienze raccolte lungo le nostre vite, lunghe o corte che siano fino a questo momento. La nostra casa interiore è un insieme di sicurezze e insicurezze, di sguardi su noi stessi che tante volte sono molto ingiusti con la realtà di ciò che siamo. E forse in questi giorni abbiamo visto che ce in noi anche la possibilità di costruire una casa nuova. E in alcuni casi tante cose dovranno essere rase al suolo, mentre in altri si potrà ripartire da ciò che già abbiamo. Ci sono quindi due esercizi da dare: un primo movimento che parte dalla conoscenza di noi stessi e che significa discernere per decidere cosa ce della nostra cosa interiore che va tolto, cosa demolito, e cosa fortificato. Ma questo non accadrà senza un altro esercizio, che è quello di conoscere la casa che voglio avere. Non rinuncerei mai alla persona che sono, alla mia casa interiore, se da una parte non provo l’esperienza dell’insoddisfazione dinanzi a questa casa, un’insoddisfazione che può avere tratti negativi ma può anche essere percepita come mancanza di qualcosa di più. E se dall’altra parte non intravedo, in qualche modo, la casa che potrei essere. Nessuno farebbe mai un lavoro di demolizione se non sa e ha una vera certezza sulla casa che sono effettivamente in grado di raggiungere, quindi non tanto una casa ideale ma una casa che parta dalla realtà che io sono autenticamente e non quella che tante volte mi racconto di essere. Se sono legno non potrò mai fare di me una casa di concreto, e qua non c’entra nessuna fastidiosa comparazione di quali materiali siano più forti o meno, o adeguati, semplicemente si tratta di essere fedeli a chi si è, perché solo a partire da quella fedeltà possiamo arrivare ad essere ciò che siamo chiamati ad essere e di conseguenza anche a fare.

Dopo mangiato ci siamo incontrati solo con i caposquadra delle case. Domani, domenica e speriamo anche ultimo giorno di lavoro, all’inizio della giornata ogni squadra destinerà due persone per fare la spesa per la famiglia, mentre gli altri membri della squadra si divideranno tra verniciare e finire il secondo tetto. Infine, mentre i ragazzi facevano la quarta meditazione, le ragazze sono state divise in 7 gruppi di riflessione. Verso le 11 e qualcosa avevamo finito con tutti i gruppi, e piano piano, con l’aiuto dello staff, i ragazzi andavano a letto…