Missioni 2019 Ecuador e Perù
Raccoglieremo quanto abbiamo seminato
Luglio 24, 2019 - Missioni 2019 Ecuador e Perù
Torniamo al lavoro dopo due giorni di pausa. Anche se dobbiamo dire che in realtà la vera pausa è stata di un giorno. Lunedì 23 siamo partiti all’inizio del giorno, alle 00:00, in pullman da Canoa verso Guayaquil, dove alle 8 abbiamo preso il nostro volo verso la città di Lima. Dopo due ore di volo siamo atterrati a Lima, la grigia, e dopo altre 5 ore, tra migrazioni, ritiro di bagagli e viaggio fino a 140 km al sud della città, dovendola prima attraversare (e attraversare Lima può significare varie ore incastrati nel traffico), siamo finalmente arrivati a Cañete. Invece il martedì 24, con l’arrivo di altri 13 ragazzi tra la sera prima e la mattina presto, siamo andati in gita ancora più al sud, nella città di Paracas, per fare un giro nel deserto, fare un po di sandboard, e fare un tufo rigenerante nell’acque freddissime di un’oasi. Eravamo di ritorno a casa verso le 19, qualche riunione di introduzione con i neo arrivati, e subito a nana visto che da oggi abbiamo ripreso con la traumatica sveglia delle 6:30.
Riprendiamo anche la preghiera del mattino, ore 7, e subito dopo la prima colazione. Siamo in una zona del Perù in cui l’avocado cresce praticamente nell’aria, quindi è particolarmente economico, e ovviamente buono. Ce lo ritroviamo non soltanto nella prima colazione, ma anche in ogni insalata possibile, per la gioia di tutti devo dire. Alle 8 ci raduniamo nell’auditorio, dove riprendiamo un po il nostro cammino, per chi sta qua già da dieci giorni, e cominciamo uno nuovo per chi è appena arrivato e che tra l’altro ancora non si riprende dal fuso orario. Questo alla fine è buono, la sveglia delle 6:30 non è così traumatica alla fine. In tutto sono arrivati 15 ragazzi dai 20 anni in su (che sono quelli che, una volta partito il gruppo del Ecuador, partiranno verso Medellín in Colombia).
Insisto sulla figura del seminato e il raccolto, che quanto seminiamo in vita sarà quello che raccoglieremo, non sappiamo bene quando ne dove, ma così sarà. Quindi un invito a tutti quanti a seminare generosità, amore, disponibilità, spirito di sacrificio, ma anche cose più piccole del quotidiano come il modo che abbiamo di esprimerci, il riconoscere agli altri i pregi, o la capacità di sorridere dinanzi ad ogni situazione, anche quelle più difficili o in cui non tutto proprio ci va bene. Un invito anche a fare uno sforzo per integrarci tra noi, che siamo così diversi in età, ma nel fondo così simili nelle nostre aspettative e desideri più profondi. A imparare uno dall’altro, trascendendo ciò che dell’altro non ci piace o ci è semplicemente scomodo (e tante volte il problema non sono gli altri ma noi stessi…), e lavorare insieme per il nostro obbiettivo comune, donare qualcosa di bello che solo lontanamente riusciamo a capire l’importanza, non tanto come azione in sé ma come esperienza di dono per le famiglie a cui costruiremo le case. Per quanto insignificanti ai nostri occhi, o piccole, o scomode, le casette che costruiremo in questi giorni, che sono 14, sono qualcosa di veramente aspettato e desiderato da queste famiglie che vivono in situazioni che probabilmente nessuno di noi reggerebbe per più di una notte (qualche volta mi è venuto il dubbio se non arricchirebbe di più l’esperienza, e soprattutto la consapevolezza di quanto facciamo, la possibilità di passare una notte vivendo come loro…). Questo lo si capisce quando in tutti questi giorni le persone che ti cercano per avere una casa superano la cinquantina. Ognuna di loro con una storia difficile alle spalle, e forse la cosa peggiore, con bassissime o nulle prospettive di miglioramento… Lo si capisce quando arrivati nella baraccopoli, una a una le famiglie si presentano, ringraziando, raccontando come vivono, e dirompendo in pianto non poche volte… un pianto che ci lascia muti, e ci fa scappare qualche lacrima, per emozione, per empatia, perché ci scontriamo così direttamente contro una realtà che è più grande del nostro comodo divano a casa e le nostre comode e sicure abitudini di ogni giorno. Noi ragazzi ci disponiamo in sette colonne, che sono i sette gruppi di lavoro per questa settimana. I capo squadra, tutti tranne una, sono ragazzi che sono alla loro seconda o terza esperienza di missioni con noi, e non sono nessuno dei ragazzi appena arrivati. Ogni squadra è formata da 7 membri del nostro gruppo, e dovrà costruire 2 case. Una a una le famiglie scelgono il gruppo di ragazzi che farà la loro casa. In seguito dedichiamo un’oretta circa a visitare le case o terreni dove verranno costruite le nuove casette. L’esperienza per i ragazzi diventa più dura ancora. Anche per chi è già venuto più di una volta. Niente di quanto si vede sembra vero, meno ancora giusto. Ma la realtà è questa, e a noi è concessa, in una piccola parte, la possibilità di trasformarla, non soltanto con quanto di materiale potremo fare, ma con la nostra testimonianza di amore, che è alla fine quello che più rimane alle famiglie…
Verso le 11:00 iniziamo con lo scarico dei tre camion arrivati poco prima di noi. I ragazzi dello staff, quelli più vecchi e che sono venuti con noi per la prima volta nel 2012, organizzano milimetricamente sia lo scarico dei camion che la distribuzione dei materiali. Lo fanno in modo ordinato ma soprattutto efficiente, in modo di approfittare al massimo i tre punti di scarico e le più di 50 “operai” a loro disposizione. Gioca a nostro favore una baraccopoli fondamentalmente piatta e abbastanza piccola, quindi distiamo poco uno dall’altro e ci aiutiamo tutti a vicenda, soprattutto per portare i pavimenti, che pesano veramente tanto. Per 13:20 circa abbiamo finito di scaricare i moduli delle 14 case e abbiamo già portato tutti i pavimenti nei rispettivi terreni. Ci raggruppiamo in un incrocio e preghiamo il rosario, e a noi si aggiungono alcuni degli adulti che lo pregano in contemporanea però in spagnolo. Mentre preghiamo piano piano ci circondiamo di bambini, che arrivano sempre più numerosi dalla scuola. Alcuni stanno buoni e calmi, altri saltellano di qua e di là… molti ci riconoscono, visto che in questa baraccopoli lavoriamo dal 2016… praticamente ogni anno abbiamo visto quanto sono cresciuti di volta in volta. Gli abbracci e i sorrisi, la vicinanza e l’affetto, sono parte della “raccolta”, di quanto abbiamo seminato in questi anni. Uno però semina, o dovrebbe farlo, in modo disinteressato, il raccolto arriva quando meno te lo aspetti e non necessariamente nei modi come lo aspetti… è un po’ come l’essere amati e l’amare, alla fine possiamo scegliere solo chi amare e come amarlo, non possiamo invece scegliere da chi siamo amati ne come siamo amati…
Dopo mangiato, pollo e riso, riprendiamo il lavoro, e ci concentriamo nel portare il resto dei materiali nei suoi rispettivi terreni. Finiamo verso le 16:50, e ci eravamo proposti di farlo alle 17, per cui posso dire che da questo punto di vista il risultato è stato fantastico. I ragazzi, soprattutto i neo arrivati, sono veramente stanchi, li fa male tutto, non sono abituati, mentre i ragazzi che stanno con noi già da qualche giorno non danno segni di cedimento. Bisogna dire che le giornate di scarico sono quelle più toste, il resto sarà un lavoro di precisione e di costanza ordinata. Si torna a casa stanchi e felici, e abbiamo un po di tempo per lavarci, qualcuno riposa anche mentre quelli più “vecchi” si organizzano un mini aperitivo. Alle 19 ci ritroviamo tutti in “capella”, che è il nostro auditorio allestito degnamente per celebrare l’Eucarestia. Il Vangelo di oggi è provvidenziale, come se ci fossimo messi d’accordo… che sorpresa la mia quando inizia il racconto del seminatore e del seme, del seminatore che è Dio che semina di continuo nei nostri cuori in attesa di trovare, rispettando sempre la nostra libertà e i nostri tempi, un terreno adeguato affinché il seme possa morire e possa di conseguenza dare frutto. Un invito anche a chiedersi che tipo di terreno è il proprio cuore, se troppo superficiale, se troppo ferito e quindi con le difese altissime, al punto di non credersi capaci di essere amati, se troppo cinico, forse anche questo conseguenza delle ferite… alla fine, credo, più che una difficoltà ad amare, esiste prima di tutto una grossa difficoltà a scoprirci amati, o prima ancora, a credere che, nonostante tutto e a prescindere di tutto, siamo amabili, ma veramente amabili. Se così non fosse, non ci sarebbe speranza di riscatto ne di pace interiore per nessuno. Dopo la messa abbiamo mezz’ora di adorazione e subito dopo mangiamo.
Finito di mangiare, i ragazzi sono liberi di andare a dormire, molti lo fanno, alcuni pochi no. Lo staff si riunisce verso le 21 per organizzare le prossime giornate. Ultima riunione del giorno invece è quella tenuta dai caposquadra con me, per insistere su alcuni aspetti e trucchetti per fare venire su le case il meglio possibile.