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Missioni 2018 Ecuador e Perù
Dopo esattamente 50 giorni la nostra estate missionaria è arrivata alla sua fine. Poche ore fa ci siamo separati, gli ultimi cinque rimasti, tre tornano in Italia mentre altri due rimaniamo ancora qualche giorno in America Latina, ognuno con destini diversi. Siamo partiti molto presto da Arequipa, la nostra ultima tappa e dove abbiamo costruito un bagno in un’asilo per bambini sotto gli 8 anni, e siamo rimasti praticamente tutto il giorno nell’aeroporto di Lima, attendendo i nostri rispettivi voli. Ho scritto molto, al meno credo, in questi 50 giorni… alcune volte ero molto lucido, altre volte praticamente facevo il possibile, perché ero veramente stanco e mi si chiudevano gli occhi quando scrivevo. Alcuni dei ragazzi definivano il mio stile di vita durante le missioni come qualcosa di impraticabile e infattibile… e infatti non è uno stile di vita da seguire durante tutto l’anno, e la verità e che si può sempre migliorare, o fare meglio. Sono stati cinquanta giorni molto intensi, pieni di fatica e di emozioni, di gioie ma anche di tristezze, di nuove scoperte quanto di vecchi fantasmi che tornavano a galla… cinquanta giorni dove la forza e le fragilità di tutti i membri del gruppo si facevano più evidente, più veri direi… e tutto è stato così umano… umano quanto bello, quella umanità che in altri ambiti sembra nascondersi o quasi vergognarsi. Quella umanità che prescinde da tante cose superflue e che è contenta, che non è “si accontenta”, con ciò che è essenziale, perché ciò che è essenziale riempie veramente il cuore, di gioia, di gratitudine, di amore… Ma cosa intendiamo con essenziale? La semplicità di vivere ogni momento con la gratitudine per il dono della vita, che è bella con tutti i suoi guai e complicazioni. La gioia di poter abbracciare l’amico o l’amica, il compagno di viaggio, o quel bambino povero che senza barriere ti corre incontro per abbracciarti. La libertà di non avere altra preoccupazione che il donarti, amare, vivere per gli altri. La serenità di essere te stesso, nei modi, nelle espressioni, nel modo di vestirsi, del proprio esserci, sapendo che nessuno ti giudicherà e che sarai accolto e apprezzato per il solo fatto di essere, di esserci, perché la tua sola presenza è un dono per tutti gli altri. La certezza che sei amato, non sai come ne perché, magari non ti reputi neanche degno, lo percepisci, lo vedi, te lo senti, e che sai che è un amore che nessuno, ne nessuna tua azione, potrà mai farti perderlo; c’è lì a ricordarti che la tua vita ha un valore unico e che non devi sprecarla, ma possederla donandola nei compiti nobili che l’esistenza ti offre quotidianamente, basta solo aprire bene gli occhi, i sensi…  Poche ore fa ho saputo di un ragazzo quasi 18enne che ha perso la vita in un incidente al mare, lontano dalla sua casa e dai suoi cari… oltre lo sconcerto che una notizia del genere ti provoca, e anche un po il senso di ingiustizia che si prova… mi chiedevo quanto valore do al dono della vita, e quanto do a questa un senso che non abbia me come centro, ma tutte le persone che mi circondano. Quando viviamo solo per noi stessi diventiamo un po grigi, una brutta copia di quello che siamo chiamati ad essere, di quello che possiamo veramente essere. Non parlo della cura di sé, che è tanto necessaria, soprattutto per essere coerenti con la gratitudine verso il dono della vita… ma di quando anteponiamo a tutto e tutti noi e i nostri finti bisogni. È qualcosa di molto umano, è vero, come se avessimo paura che qualcuno ci rubi o ci freghi qualcosa nell’esistenza, e viviamo quasi alla difensiva, proteggendoci, assicurandoci tutto, un posto, un affetto, qualcosa di materiale, e via dicendo… ma così si vive un po da schiavi, teniamo troppo stretto tutto e si rischia di non crescere veramente. Invece il donare ti consegna una libertà che poi ti permette veramente avere la tua vita, a volte infatti fa bene chiedersi da cosa o da chi ci lasciamo possedere o schiavizzare. Donarsi, se stessi, del tempo, dell’attenzione, è difficile e non è scontato, richiede allenamento, come l’amare… ma è bello e umanizzante. Se penso alle esperienze più belle della mia vita, non sono quelle in cui ho raggiunto qualcosa di particolare, ma quelle in cui nel preciso momento in cui tendevo una mano o rivolgevo uno sguardo, provavo una gioia indescrivibile… e questo senza sprezzare i piccoli successi più mondani della nostra vita. È solo che esiste un abisso tra ciò che vogliamo e ciò di cui veramente abbiamo bisogno, e a volte mi sembra che viviamo solo in funzione a ciò che vogliamo e mai ci chiediamo di cosa veramente abbiamo bisogno. Passare tanti giorni tra persone bisognose, con bisogni di ogni tipo, ti porta a chiederti di cosa hai veramente bisogno per essere felice… la risposta è quasi scontata in questo diario… amare ed essere amati, e lasciarsi amare…  Torno, quasi in realtà visto che ho ancora qualche giorno qua nell’emisfero sud, un poco più cresciuto, è che non si finisce mai di crescere; torno grato a Dio, perché mi ha permesso vivere questi anni di missioni; grato a Lui perché ci sono tante cose di questi 12 anni di missioni che non mi spiego senza la sua mano benevola e protettrice. Grato a Dio perché si è sempre presso cura di me, da quando iniziai a prendermelo più sul serio, ai miei 16 anni; grato a Colui che mi ha sempre sostenuto e che con il passo degli anni mi ha manifestato un amore immeritato al quale prima o poi ti stanchi di chiederGli il perché e ti lasci semplicemente amare. Eh già, forse è un’esperienza che può sembrare cinese per molte persone… ma è l’esperienza più bella della mia vita, e gliela auguro a tutti, soprattutto a chi amo e voglio bene.  A settembre inizia un nuovo anno… vediamo cosa ci riserverà, e cosa vorrà Dio da noi che siamo dietro queste missioni. E ai ragazzi che hanno partecipato ai diversi viaggi… ricordate che quanto avete vissuto è reale e vero, forse una delle esperienze più vere con cui avrete a che fare… coltivate nei vostri cuori ciò che avete imparato, custoditelo come un inmenso tesoro, e fatelo crescere, non lasciatelo marcire lentamente con il passo del tempo, della rutina, annegato tra le tante responsabilità e ansie del nostro mondo moderno… nel fondo, quella felicità che avete provato, è ciò che vi meritate. Non vi meritate niente meno che questo amore incondizionato ed eterno che tutto lo fonda e sostiene, che tutto guarisce…
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La giornata inizia presto, come sempre, e alle 08.30 partiamo per l’adorazione, l’ultima del viaggio. Verso le 10, visto che facciamo un adorazione poco più lunga del solito, arriviamo alla baraccopoli, per sistemare gli ultimi dettagli delle case. Alle 11.30 riuniamo tutte le famiglie per le quali si è costruito e facciamo una preghiera generale. Poi casa per casa, Dani fa una benedizione e i ragazzi salutano le famiglie. Sorprende molto la gratitudine, ci regalano frutta in abbondanza e ci ringraziano tantissimo. Per noi sono case semplicissime, e probabilmente nessuno di noi ci abiterebbe volentieri… ma la gratitudine di queste persone è tale che ci fa capire che è veramente importante e buono quanto abbiamo fatto per loro. I loro discorsi sono pieni d’amore e riconoscenza verso i ragazzi che per qualche giorno si sono fatti carico di loro, portando non solo le cassette ma tanta gioia in questo posto dimenticato. 

Dopo pranzato siamo andati alla baraccopoli dove abbiamo lavorato gli ultimi anni, per la benedizione e inaugurazione di un parco giochi. È stato molto bello vedere come questo piccolo dono ha portato gioia non solo ai bambini ma anche agli adulti che mettono sedie in torno e osservano la festa di vedere tutti i bambini così felici con i giochi!

Verso le 17 torniamo a casa, i ragazzi hanno tempo per riposare, stare insieme, fare le valigie fino alle 20.30 che ceniamo. Verso le 22.30 facciamo la lettera finale, e dopo i ragazzi scrivono la lettere a loro stessi… poi si spera che dormano… magari…
Cari ragazzi,

Siamo praticamente arrivati alla fine del viaggio, e forse anche all’inizio di qualcosa di nuovo nella vostra vita, dipende dalla prospettiva, e dipende molto da voi stessi. Tra qualche ora, meno di 24 per la precisione, sarete in aereo tornando verso casa, mentre alcuni di noi, molti pochi, continueremo il nostro viaggio per altri 7 giorni. 

Per la gran parte di voi il viaggio di missioni non è una novità, come minimo avete già fatto un esperienza, e ce tra di voi chi ha fatto molte ma molte di più. Poi ci sono quei pochi membri del gruppo che sono venuti per la prima volta. Perché sei tornato o tornata? Perché così tante volte? O perché hai deciso di venire? O perché, forse, hai pensato di non poter permetterti di non venire, come se fossi costretto a farlo? Sono domande la cui risposta più autentica sta solo nel tuo cuore: Cosa cerchi? o chi cerchi? o cosa hai paura di perdere? Ogni viaggio è diverso, non solo per il viaggio, ma anche perché tu sei diverso, hai fatto nuove esperienze lungo quest’anno o anni, sei cresciuto e maturato, sei stato ferito e hai ferito, hai accolto chi tu sei o l’hai rifiutato, o come forse è più probabile è stato un insieme di entrambi estremi: tra l’averti accettato e l’averti rifiutato, tra l’essere cresciuto e tra l’essere rimasto bambino, tra l’aver ferito e l’essere stato ferito. 

Poi ce da dire che sicuramente come il primo viaggio non ce nessun altro, è come il primo vero amore… e per questo motivo ce il rischio di venire facendosi delle aspettative in funzione a esperienze vissute nel passato, che ci mettono nella difficoltà e nel rischio di non percepire quanto accade nel presente perche si è alla ricerca di sensazioni ed emozioni passate o già vissute. Per carità, il primo vero amore non si dimentica mai, ma vivere sotto quell’ombra, o luce, può impossibilitarti a cogliere ciò che conta ora e ciò che unicamente ti appartiene, il tuo presente, quello che stai vivendo e hai vissuto in questo viaggio, in queste poco meno di tre settimane passate insieme. Ogni viaggio ha qualcosa da dirti, e con viaggio non intendo solo i posti visitati o i lavori portati con tanta fatica a termine, ma soprattutto tramite le persone incontrate, sia quelle che avevano bisogno di te, o che forse nel fondo fondo tu avevi più bisogno di loro di quanto aiuto vero eri in grado di portare; sia quelli che hanno fatto quest’esperienza con te, quanti ti hanno circondato e camminato insieme a te lungo questi giorni. Ma ci sono anche i diversi eventi propri di questo viaggio, una bella gita, un bel tempo, o un tempo brutto, il terreno sul quale abbiamo costruito, la malattia, i falò, il black out, insomma… è tutta la realtà che parla e che se la lasci agisce nel tuo cuore, nel tuo interiore, basta cogliere ciò che è invisibile agli occhi. È fondamentale che tu ti chieda non solo cosa hai vissuto in questi giorni, ma soprattutto cosa ti ha voluto dire la realtà di queste quasi tre settimane? cosa ti ha voluto dire Dio in tutto questo?

Cosa posso dirvi che in tutti questi anni non vi abbia già detto. A volte ci intrappoliamo cercando qualcosa di originale, di straordinario, e così la vita ci passa davanti e non la viviamo proprio. Non so quanti di voi farete cose straordinarie nella vostra vita, nel vostro futuro, e poi dipenderà molto da cosa intendete con straordinario. So per certo però che ognuno di voi può rendere ogni piccola azione, ogni ordinaria azione, qualcosa di veramente straordinario e bello se ci mettete l’amore, la dedizione, il fare bene le cose, con cura. 

Abbiamo voluto insistere sull’esperienza del sentirsi amati, non una teoria, non soltanto un dato di fatto, che lo è, ma l’esperienza di essere amati nonostante tutto e a prescindere di tutto. Nell’amore non si vive di rendita, l’amore deve essere rinnovato ogni giorno, in ogni momento, e così anche l’esperienza di sentirsi amati e protetti, quanto scelti e benedetti. Se non ti scopri come una persona che è amata, e in quanto amata scelta e benedetta, farai tanti danni nella tua vita, e dannerai anche quanti ti circondano, e non perche tu sia cattivo o mal intenzionato, ma perché alla mancanza d’amore non corrisponde il darlo, ma il ricercarlo e possederlo ad ogni costo, in modo disordinato, tempestivo, senza vedere in faccia nessuno, come quando hai tanta ma tanta fame e alla prima possibilità che ti si presenta non importa niente, non ti importa di nessuno… non a caso, diceva San Francesco, il contrario dell’amore non è l’odio ma il possesso. Forse sono parole estreme, ma è un meccanismo che agisce nelle piccole cose, nel silenzio, quando pensi sempre a te stesso, a stare comodo prima degli altri, a faticare meno degli altri, a prendere il posto migliore o solo ed esclusivamente ciò che ti piace a discapito degli altri… la ricerca di un amore fondante, cioè infinito e incondizionato, non può essere esaurita nella nostra realtà finita e così condizionata da tante cose, prima di tutto dal nostro egoismo. E in tutto questo brodo di sentimenti ed emozioni entra anche la componente della fragilità, del nostro essere spezzati, per tante cose che sono successe nella nostra storia, tutte quelle sconfitte che in un modo o nell’altro hanno minato la propria stima, o tutte quelle esperienze in cui è venuto a mancare l’amore che ci era dovuto, o che almeno pensavamo che ci era dovuto, rompendo piano piano qualcosa dentro di noi. E a questa esperienza di non sentirci amati o indegni di essere amati, che sono in fin dei conti la stessa logica, seguono i sentimenti di inadeguatezza che tanto ci fanno soffrire e che portano alla disperazione non pochi dei vostri coetanei. Andiamo come disperati a ricomporre i pezzi rotti della nostra vita, come se quello risolvesse qualcosa… cerchiamo di ricomporre ma allo stesso tempo di nascondere, perché chi si mostra fragile è debole, ci vergogniamo in fondo di chi siamo e viviamo anelando di essere qualcosa o qualcuno che non siamo. Il salto non sta nel smettere di essere fragile o raggiungere una perfezione, che come tale è solo disumana, estranea alla nostra natura… ma nell’accogliere la propria fragilità ed imperfezione come qualcosa che fanno parte di chi siamo, di quella unicità che abbiamo in quanto scelti. Quando ami qualcuno, ami anche le sue fragilità, anzi, è proprio da quello che si evince chi ti ama veramente. Starti vicino quando sei simpatico o simpatica lo può fare chiunque ed è pure conveniente, ma è quando tiri fuori il peggio di te, o quando ti mostri talmente fragile e bisognoso e bisognosa degli altri, che si vede chi ti ama veramente. Mettere le nostre fragilità e sofferenze nelle mani di Dio, nello sguardo della sua misericordia, magari non fa smettere il dolore, ma lo trasforma veramente, ci risolve, ci fa crescere, ci libera dall’angoscia e l’amarezza, è una promessa di pace e serenità, come lo è la promessa della vita eterna che ci attende dopo la morte in terra… il cielo è veramente il nostro primo amore, la terra è solo un sostituto… so che è facile dirlo, ma chi l’ha vissuto anche solo minimamente sa che è così. 

Non credo che sia un caso che il brano della donna peccatrice che riempie di lacrime i piedi di Gesù manifestando un amore sofferto sia uscito così tante volte durante il viaggio… nel Vangelo di qualche domenica, in una delle letture della preghiera del mattino, nelle riflessioni dinanzi al santissimo in adorazione, nella sorta di conferenza di padre Matteo in Ecuador. Cosa avrà voluto dirci Dio con questa insistenza su quel brano. Molto ama a chi molto è stato perdonato… ovvero molto può amare a chi si riconosce molto amato… perché il perdono non è che una manifestazione di quell’amore paterno di Dio, di quella cura del buon Pastore che veglia per le sue pecore in modo unico. L’esperienza del perdono è fondamentale, esperimentare che si ricompone tutto, che i pezzi non vanno più dispersi ma vengono riuniti ci sana, ci solleva e ci permette di amare di più. Solo chi è consapevole della sua piccolezza è capace di cogliere il bene e il bello che ce non solo in tutto ciò che ci circonda, il creato, ma in tutte le persone, anche quella che ci può sembrar più sgradevole… è facile criticare cosa non va negli altri, è sublime riuscire a cogliere ciò che hanno per arricchirci… e vi assicuro, le persone di cui meno te lo aspetti sono quelle che hanno più da farti crescere. Ve lo dice questa esperienza che stiamo finendo, dove persone che non avevano all’apparenza nulla da darci, invece ci danno tante lezioni per le nostre vite borghese e accomodate. Forse dobbiamo tutti un po scendere dal piedistallo delle nostre sicurezze, di quanto ci sentiamo buoni e bravi, ed essere un po più sinceri con noi chiedendoci quanto bisogno abbiamo del perdono… non so voi, ma una delle esperienze spirituali più belle che ho mai avuto nella mia vita fu quando ai 17 anni, poco prima di fare la cresima, fece una confessione generale, di tutta la mia corta vita fino ad allora… mi si rupe un po il cuore, tanti pianti, ma alla fine una libertà e una gioia, ma soprattutto una serenità che furono indescrivibili… sapevo di essere amato e che nessuno, ne io stesso, avrei potuto fare niente per perdere quell’amore insistente che sta alla nostra porta e bussa una volta dopo l’altra.

Cosa vuoi fare della tua vita? Chi puoi essere per gli altri? Chi vuoi essere per gli altri? Non so cosa vedete voi allo specchio ogni volta che vi riflettete, alla ricerca della sistemazione migliore, se siate fieri e sereni di ciò che in esso viene riflesso. Però vi posso dire che, quello che si vede da fuori, siete portatori e portatrici di una gioia, una forza e una dedizione che sono proprio belle, che riflettono ciò che veramente siete. E questo non senza assenza di sofferenze, difficoltà, magari anche qualche malessere o scontento, perché non tutto va per il verso giusto o come uno vorrebbe, ma è bello così perché vuol dire che è molto più grande l’amore che siete venuti a portare, l’amore che siete in grado di dare, la donazione di voi stessi. Può sembrare banale, e forse ci siete abituati, o vi sembra scontato perché essendo venuti così tante volte, è normale dirsi di essere venuti a ciò, mica a conoscer un posto nuovo o fare nuove amicizie, che ci può pure stare ma non è la cosa centrale. Ovunque andate portate gioia ed energia, e quanti vi vedono, soprattutto quelli che aiutate, restano meravigliati della vostra dedizione nel lavoro e nel venire ad aiutare. 

Ora resta da chiedersi, se riuscite a vivere così quando siete a casa, dove avete tutto e tutti, e probabilmente da molti punti di vista o prospettive potresti avere una marcia in più, potresti fare molto di più viste le vostre possibilità e situazioni. È probabilmente la libertà dinanzi alla propria fragilità insieme all’assenza di tante cose effimere e superflue, che non vuol dire cattive eh, che forse rende possibile che tu viva qua con una serenità diversa. L’esperienza di libertà che nasce da non avere nulla da dimostrare e che l’unica cosa che conta è ciò che sappiamo fare bene: amare. Non ce povertà peggiore di non avere amore da dare… è proprio vero… l’amore è a portata di tutti anche quando sei là. Che ti manca dall’altra parte del mondo per vivere così come vivi qua. Ragazzi la carità e la preghiera, sono due realtà che non possono mancare nella vostra vita. E con carità non intendo solo fare del volontariato, che credo dovrebbe essere un dovere, quanto un piacere, nelle vostre vite quotidiane… intendo la carità a casa, verso voi stessi, i vostri cari, nel servizio, nella cura di quanto vi circonda, con i vostri amici, negli spazi in cui vi muovete. Sarebbe bello che quella stessa forza che percepiscono le persone qua di voi, quell’entusiasmo contagiante che edifica così tanto, sia qualcosa che salti alla vista quando uno vi guarda per strada… invece quante volte siamo grigi, o brutte copie della bellezza che portiamo dentro… quando non si vive l’amore come linfa della propria vita, ci spegniamo piano piano… Ma la cosa più importante… la preghiera. Se avete fatto caso, all’ingresso della chiesa a San Vicente in Ecuador c’era la frase: Qua si entra per orare e si esce per amare. Hai difficoltà ad amare? ad essere paziente? ad essere gentile verso una persona determinata? Sei stanco e non ce la fai più? Prega, trova Dio, o meglio lasciati trovare, spegni tutto il rumore interiore e di questo mondo che non ti lascia ascoltarlo e percepirlo nella tua vita. Dalla preghiera si esce con la pace nel cuore, con la libertà di cuore, con la forza per amare di più e meglio, si esce proprio con voglia di amare. Quanto diversa sarebbe la vostra vita se pregasti un po di più… ognuno deve trovare il suo equilibrio, ognuno ha diversi bisogni di preghiera… ma è fondamentale, secondo me, disporla lungo tutta la giornata. Un azione di grazie per la giornata che comincia mettendola nelle mani di Dio, sotto la sua benedizione. Un paio di momenti di preghiera lungo la giornata, magari qualcuno prima di mangiare e un altro verso metà pomeriggio, per ritrovare il senso, magari andando da qualche chiesetta a te cara dove tu possa trovare il silenzio. Se sei in giro o hai la possibilità un rosario, pregando per tutto ciò che hai a cuore e che è importante per te o per i tuoi cari. Un momento di adorazione, magari ogni giorno, come minimo una volta a settimana… ognuno veda… ma non sottovalutarla… e chiudere la giornata con un bel esame di coscienza e una bella azione di grazie… se i viaggi di missioni sono quello che sono, qualcuno diceva stamattina che questi viaggi sono unici… sono per la dimensione spirituale. È un assurdo pretendere di vivere come viviamo qua al nostro ritorno se viene a mancare proprio il fondamento, quella roccia solida sulla quale la persona prudente e saggia costruisce la casa. E poi, la preghiera è un rapporto di perseveranza, è costruire un’amicizia, implica dedizione e fiducia… se i buoni propositi durano poche settimane… fidati, non hai fatto abbastanza. La cosa più vicina alla vita cristiana che probabilmente avete vissuto è proprio quanto abbiamo vissuto in questi giorni: donazione, sacrificio, dolore e gioia, amore, preghiera, amicizia… siamo stanchi infatti, ma felici, con gli occhi lucidi e con qualcosa nel cuore che ci riempie… e un po, lo so, vi dispiace partire.

Per molti di voi, per quanto possa risultare fastidiosa quanto relativa quest’affermazione (spero soprattutto relativa), probabilmente questo sarà l’ultimo viaggio che faremo insieme. E lo dico non come provocazione, lo dico con molta nostalgia e direi un po di tristezza, perche indipendentemente da quanto ci vediamo durante l’anno, vivere queste tre settimane insieme da tanti anni fa qualcosa di magico e misterioso nei rapporti, sicuramente perche qua siamo più noi stessi, siamo senza maschere, e facciamo qualcosa di molto bello. Ogni tappa della vita, ogni ciclo della vita, prima o poi arriva alla sua fine o in questo caso forse a un’interruzione. Forse toccherà una pausa di un anno, o forse più anni, chi lo sa… quello che so è che se siete tornati così tante volte è perché avete trovato sempre qualcosa di unico e bello per la vostra vita, perché avete scoperto cose nuove su voi stessi, perché avete imparato ad amare e ad amarvi, anche se la strada è ancora lunga e ci sono tante ferite da guarire e tanto da purificare, e perché per qualche motivo ogni volta Dio vi ha chiamati una volta dopo l’altra sempre qua, per dirvi qualcosa di nuovo, o per ricordarvi qualcosa già detta. Forse vorresti anche continuare a venire, magari avresti fatto più esperienze se fosti venuto da più piccolo, come in qualche caso… ma la vita passa, gli anni scorrono, e tocca crescere e diventare adulti affrontando le sfide che sono proprie della crescita. Tocca prendere la vita in mano per poi poterla consegnare nel modo più autentico e puro, con tutto l’amore del quale siamo capaci, e del quale spero che questi viaggi siano stati una scuola: scuola d’amore, di pazienza, di generosità, d’autenticità, di sacrificio… poi ovvio che se in qualsiasi momento dell’anno mi dite che volete venire ci organizziamo e facciamo tutto, ci mancherebbe… e la verità è che saresti di grande aiuto come staff nei viaggi dei più piccoli, e nel futuro spero che mi diate una mano con i progetti e la raccolta fondi, che con tutta la mano d’opera che abbiamo ogni anno possiamo fare sempre cose più grandi e belle per i nostri fratelli più bisognosi…  

Ricordo quando qualche mese fa, a una riunione di preparazione per quelli del primo anno eravamo JuanFer, Dani e me, e Juanfer mentre li guardava disse: “mi sorprende il fatto che tra qualche mese, quando saremo in Perù, questi ragazzi faranno parte della nostra vita”. E infatti è così, in qualche modo siete diventati parte importante della mia vita, della nostra vita, e avervi in torno è sempre un dono e qualcosa di bello, la nostra vita senza di voi non sarebbe la stessa, e sicuramente sarebbe meno piena…

Dio vi benedica.

Fernando

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Iniziamo la giornata con un obbiettivo fisso in testa, completare 15 case e pitturare l’ultima casa il venerdì mattina prima delle benedizioni. I ragazzi sono stati troppo forti, e hanno finito praticamente tutte le 16 case nella giornata, lavorando sodo dalle 10 fino alle 18:30 quando praticamente non c’era più luce. 

Partiamo come sempre verso le 08:30 per l’adorazione. Io ero partito un ora prima per aspettare l’apertura del negozio della vernice e fare l’ordine dei 32 galloni di vernice e altri 24 galloni d’acquaragia, più i pennelli, e altri attrezzi per facilitare il lavoro. Verso mezzogiorno, nonostante fossimo molto consapevoli che eravamo contro il tempo, saliamo sulla montagna che osserva la baraccopoli, e da lì, ai piedi di una croce, preghiamo il rosario. Mangiamo velocemente e riprendiamo i lavori. Come ho già scritto, la determinazione e dedizione dei ragazzi, e anche il lavoro di gruppo andando oltre i gruppi di lavoro mi hanno sorpreso molto. Non che non sapessi di cosa fossero capaci, ma sono rimasto particolarmente soddisfatto. Poi, già il fatto che non abbiano fatto la solita guerra di vernice è stata la dimostrazione di maturità, di non spreco, che un gruppo come loro doveva dare. 

Al ritorno dalla baraccopoli ci fermiamo al supermercato per fare un po di spesa per le famiglie. Torniamo a casa molto tardi, verso le 20.30, per cui decidiamo di mangiare alle 21.30. Alle 22.30 ci riuniamo, i ragazzi pensano ci sarà la quarta conferenza, questa volta senza gruppi, ma tutto il lavoro della giornata, la fatica accumulata, rendono una proposta del genere quasi disumana, per cui insieme agli altri consacrati decidiamo di non fare la conferenza, e fare il giorno dopo 10 o 15 minuti in più di adorazione in cui si dedichino alla lettura dei testi sul tema: “Diventare l’amato: dati”. 

Nel dare diventa chiaro che siamo scelti, benedetti e spezzati non semplicemente per noi stessi, ma perché tutto ciò che noi viviamo trovi il suo significato finale nel suo essere vissuto per gli altri.

La nostra più grande realizzazione sta nel dare noi stessi agli altri. Sebbene spesso sembri che la gente dia solo per ricevere, credo che, al di là di qualsiasi nostro desiderio di essere apprezzati, premiati e riconosciuti, ci sia il puro e semplice desiderio di dare. La nostra umanità arriva alla sua espressione più alta nell’atto di dare. Diventiamo gente stupenda quando diamo qualsiasi cosa possiamo dare: un sorriso, una stretta di mano, un bacio, un abbraccio, una parola d’amore, un regalo, una parte della nostra
 vita… tutta la nostra vita.

È triste vedere che, nel nostro mondo altamente competitivo e avido, abbiamo perso il contatto con la gioia del dare. Spesso viviamo come se la nostra felicità dipendesse dall’avere. Ma non conosco nessuno che è veramente felice per ciò che ha. La vera gioia, la felicità, l’intima pace provengono dal dare noi stessi agli altri. Una vita felice è una vita per gli altri. Questa verità, però, di solito viene scoperta quando ci confrontiamo con il nostro ‘essere spezzati’.

Il nostro ‘essere spezzati’ ci apre ad un modo più profondo di condividere le nostre vite e di offrire speranza l’uno all’altro. Così come il pane ha bisogno di essere spezzato per essere dato, così è anche per le nostre vite.

La vita in sé è il più grande dono da offrire – cosa che noi costantemente dimentichiamo. Quando pensiamo al nostro darci agli altri, quello che ci viene subito alla mente, sono i nostri talenti unici: quelle capacità di fare cose speciali specialmente bene. Quali sono i nostri talenti unici? ci chiediamo. Quando tuttavia parliamo di talenti, tendiamo a dimenticare che il nostro vero dono non è tanto quello che possiamo fare, ma chi siamo. La vera domanda non è ‘Cosa possiamo offrirci l’un l’altro?’, ma ‘Chi possiamo essere per gli altri?’.

Molti ragazzi a fine riunione sono andati dritto a letto, alcuni pochi continuano a giocare alle carte o a chiacchierare, e io mi sono fatto un caffè americano che probabilmente mi terrà sveglio per un bel po.
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Una mattina come tutte le altre, sveglia e preghiera, colazione e partenza. Adorazione eucaristica fino alle 9:30 e ci dirigiamo verso la nostra baraccopoli. Rapidamente portiamo i pezzi delle tre case arrivate la sera, e iniziamo con i lavori. Non ce molto da raccontare, ogni gruppo si rimbocca le mani e va abbastanza in fretta, perché non abbiamo tanto tempo. Verso l’ora di pranzo arrivano altri due camion con le ultime quattro case. Le ragazze vanno tutte alle case per continuare con i tetti mentre i maschi scaricano i camion e portano i pavimenti delle case arrivate, visto che essi sono la prima cosa da piazzare e anche quella più pesante!

Verso la fine della giornata di lavoro, cioè le 18 e qualcosa, sono 8 le case finite, 6 con tutte le mura e a cui manca il tetto, 1 con il tetto a metà, e una da fare da capo… problemi logistici all’interno della baraccopoli. L’obbiettivo di domani sarà finire tutte le case, 13 verniciate, e lasciare 3 da verniciare venerdì prima della benedizione. 

Tornati a casa verso le 19, ci siamo riuniti con i maschi nei gruppi di riflessione fino alle 21, iniziando alle 20. Cena, falò e rosario, e poi un bel commento di condivisione in cui ognuno liberamente poteva esprimersi su qualche aspetto positivo che aveva trovato in questi giorni di viaggio in qualsiasi membro del gruppo. E così la serata è andata avanti fino a mezzanotte e passa.

A volte dinanzi a tutta la povertà con la quale ci incontriamo, e scontriamo, durante questi giorni, viene da chiedersi se nel fondo fondo non sia inutile quanto facciamo, cioè, è un dubbio che assale ai ragazzi. Insufficiente sicuramente, ma inutile sicuramente no. Non so, non sappiamo, se riusciremo mai a costruire una casa per tutte le persone che ci sono qua, però per certo che l’unica cosa che abbiamo è il nostro presente e la possibilità di amare sempre di più nei diversi momenti della nostra giornata. Qua non conta quante case riusciremo a costruire, ne per quanto altro tempo verremo in questa baraccopoli. Ciò che conta è dare amore, offrire piccole esperienze di amore a quanti vengono da noi, a quanti incrociamo nel nostro cammino. 

Oggi verso mezzogiorno, ci hanno salutato Sara e Bea, purtroppo dovevano tornare prima!
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Missioni 2018 Ecuador e Perù
Solita nuova sveglia delle 6:45, preghiera del mattino alle 7:15, colazione e tempo libero per prepararsi fino alla partenza delle 08:30. Arrivati alla cappellina dove facciamo l’adorazione rimaniamo pregando fino alle 09:25, riflettendo sulla vulnerabilità e l’essere spezzati. La scelta di fare la preghiera la mattina si rivela sempre più vantaggiosa, siamo più svegli, carichi, cioè almeno riposati, ed è bello iniziare la giornata con queste riflessioni/preghiere in torno all’amore e all’amare.

Arriviamo alla baraccopoli verso le 10:00 e dopo una breve preghiera ci diamo da fare. Durante la notte sono arrivate altre tre case, quindi per prima cosa portiamo i pezzi nelle rispettive case. Ogni squadra ha già tutti i pezzi per la prima casa, e ce una squadra che ha i pezzi per la seconda casa. Lavoriamo duro e sodo durante tutto il giorno, solo la pausa per mangiare ma non senza aver fatto il rosario. Alle 14 riprendiamo i lavori che vanno oltre le 18, nel buoi, visto che un altro camion con altre tre case arriva verso le 17:30 e dovevamo scaricarlo tutto, con l’aiuto della gente del paese. Un gruppo riesce a finire tutta la casa in una sola giornata, il che è un vero e proprio record! Altri sei gruppi stanno nella parte finale del tetto, mentre un solo gruppo è rimasto veramente indietro a causa di problemi dei terreni. L’obbiettivo di mercoledì è finire altre 4/5 case e avere tutte pronte entro giovedì a mezzogiorno. 

Torniamo a casa, doccia e tempo libero fino all’ora di cena, cioè le 20. Cena che si prolunga a causa dei vari ragazzi che chiedono ed esigono il bis… io li vedo mangiare e sinceramente non capisco dove va a finire tutto ciò che ingeriscono! Infine, scendiamo in auditorio per il terzo passaggio… quello dell’essere spezzati, e che percorre la pressa di coscienza del nostro essere feriti, spezzati, rotti… Il dolore diventa la tematica principale di questa conferenza, dolore come un’opportunità di crescere, e soprattutto un essere spezzati che non allontana dall’amore ma che ci rende più capaci di amore, se e solo se vissuto sotto la prospettiva della speranza. I gruppi toccano alle ragazze e la tematica rende tutte più sensibili, alcune decidono di aprirsi tanto, di aprire il cuore e raccontare le loro ferite, la proprie sofferenze che tanto bloccano e che sono attualmente fonte di sofferenza. Per chi ha fatto dei passi verso il dolore, per dargli un nuovo volto, diventa fondamentale testimoniare quanto il dolore è stato un fattore fondamentale nella propria crescita personale, al punto di sentirle dire: “non cambierei manco un giorno di quei mesi in cui soffrivo. Ora so che sono stati il dono più grande che Dio mi potesse fare”.
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Sveglia un po prima del solito, 6:45. Il motivo? Abbiamo solo 5 giorni per scaricare e costruire 16 case in 8 squadre. Poi ce anche la preghiera eucaristica, che farla a fine giornata dopo il lavoro implica due rischi, o farla praticamente dormenti, o saltarla… quindi abbiamo cambiato un po l’orario, partenza alle 8:30 per fare l’Adorazione e poi partenza verso la baraccopoli per la costruzione delle case, così che per le 9:45 siamo là. 

Oggi abbiamo dedicato la mattina alla conoscenza delle 16 famiglie, passare del tempo con loro e preparare il terreno. In molti casi la preparazione del terreno ha significato lo smontaggio dell’attuale capanna, che oltre la difficoltà, implica anche un po un colpo psicologico, nel bene e nel male, perche si butta giù qualcosa di costruito comunque con dello sforzo, ma si fa in prospettiva di un futuro un poco migliore. Mentre abbiamo visitato la famiglia è sorto un sole pazzesco quanto strano per quella parte di Cañete. Durante tutte le missioni precedenti non l’avevamo mai visto proprio… riscalda, rallegra, fa venire un po di caldo, è vero, ma tutto sommato è una bella cosa!

Dopo mangiato è arrivato un primo camion da scaricare. Siamo praticamente degli esperti, ce già una squadra di ragazzi che ci pensa sempre a salire e passare i pezzi. Prima scarichiamo tutto quanto, e dopo tutti quanti portiamo i diversi pezzi ai diversi terreni delle case. È un lavoro che dura fino alle 18, quando finalmente arriva il nostro pullman che ci porta a casa.

A casa ci aspetta una sorpresa, dovevamo fare la terza conferenza del viaggio, che sabato arriverà alla sua fine, ma ci scontriamo con un “blackout” che durerà fino alle 22… questo vuol dire, che molti non riusciremo a fare la doccia visto che l’acqua arriva con una pompa d’acqua, ma soprattutto che la conferenza e i gruppi di oggi sono saltati… in cambio, abbiamo accesso un falò e pregato il rosario… e poi abbiamo cantato fino elle 23 e passa accompagnati da qualche birra e dei “marshmallows” sciolti tra biscotti al cioccolato. 

E di questa giornata mi porto due cose, cioè tante, ma due che sono state particolarmente presenti nella giornata. La prima, tutto il bisogno che ce in questo posto, la solita povertà che vedo da anni ma che per quanto la conosci non ti ci abitui mai. La miseria non solo della capanne ma da ogni cosa che li appartiene, i loro vestiti, le scarpe che non ci sono, e se ci sono, sono piene di buchi, i materassi duri e rotti, i letti che cadono a pezzi, e la sporcizia che è ovunque. E poi quella sfilata di famiglie che non avendo ricevuto la casa ti si avvicinano chiedendo come fare per averla, e te con un nodo al petto non hai altre parole da dire che: “aspettate e siate pazienti, vogliamo costruirle per tutti”… Che imparo? Che non è mai abbastanza quanto possiamo fare per chi meno ha… e che dobbiamo dare sempre, e sempre, rinunciando un po al nostro superfluo per dare un po di quello che serve di essenziale a chi non ce l’ha. La seconda cosa, l’ho già scritto in un altro post… non controlliamo niente, ma proprio niente, e qualsiasi programmazione, per quanto dettagliata, avrà sempre da affrontare una serie di variabili che forse renderanno tutto inutile. Questo non per dire che tocchi lasciare tutto al caso, ma che con molto realismo e libertà, bisogna arrendersi pazientemente a ciò che porta la giornata… oggi ero determinatissimo a fare la conferenza, i gruppi, avevo riprogrammato tutta la settimana… ma un blackout ha rovinato tutto, e non avevo modo di controllarlo. Alla fine è venuta fuori una serata bellissima, spirituale e in amicizia… e con canti fino a tardi, ma non troppo che la sveglia sarà tra poco meno di 7 ore…
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Dopo la giornata di ieri, era difficile che le cose andassero peggio. 28 persone su 50 del gruppo sono stati male. Oggi abbiamo lavorato solo mezza giornata, molti stavano già meglio ma c’erano nuovi malati. Su 50 persone, a lavorare siamo andati in 34. Alcuni si sentivano meglio ma il nostro aspirante medico ha preferito si riposassero, approfittando anche che il lavoro d’oggi era molto ridotto. Verso le 13 siamo tornati a casa, e il pomeriggio è stato dedicato al riposo, visto che più o meno tutti eravamo stati male in qualche momento durante gli ultimi due giorni. 

Siamo andati alla messa nella cattedrale di Cañete, verso le 18 e poi siamo tornati a casa per mangiar e festeggiare Cesare, il nostro aspirante medico appunto, che ha fatto 22 anni, ed era veramente felice di aver avuto come regalo la possibilità di aiutare a guarire buona parte del gruppo e assaggiare un poi dei frutti di questi primi 4 tosti anni di studi di medicina. 

La sera è stata dedicata a riunioni organizzative, ci restano cinque giorni di missioni e dovremmo affrontare la costruzione di 16 case e la conclusione del parco giochi. Il tempo che abbiamo a disposizione è proprio preciso. Ho ricordato i ragazzi il senso della costruzione della casa, del perché siamo qua, cosa siamo venuti a fare… e dell’importanza del riposo… ultimo punto che purtroppo sembra non essere stato presso molto in considerazione, visto che seguono qua in giro a giocare alle carte nonostante la sveglia di domani sia prima del solito.. speriamo bene.
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Missioni 2018 Ecuador e Perù
La giornata era iniziata come qualsiasi delle giornate di questo viaggio, cioè le giornate di lavoro… Sveglia alle 7, preghiera del mattino e poi colazione… però alla preghiera del mattino ci siamo accorti che qualcosa non andava del tutto bene… mancavano all’appello 4/5 ragazzi. Quando dovevamo partire il numero di assenti al lavoro era salito a 8… entro l’ora di mangiare avevo già fatto un primo viaggio dalla favela all’albergo per riportare altre 4 persone malate… ed eravamo a 12… dopo mangiato ho portato altri 5, e siamo a 17… e finito il lavoro verso le 16 ho portato altri 3, quindi 20, aggiungiamo pure Mauri, che ci pensa a fare le foto e i video, e siamo a 21… 

Avendo mangiati tutti le stesse cose durante gli ultimi due giorni, secondo il nostro medico la cosa più probabile è che sia un’infezione intestinale per aver mangiato con le mani sporche, quindi non a causa del cibo ma dal non averci lavati le mani… e infatti se mi metto a pensare alla giornata passata al mare, il fritto di mare e le patate fritte le mangiavano tutti con le mani arrivati direttamente dal mare… tanta acqua e idratazione e in qualche caso qualche medicina… antibiotici se e solo se si presente la febbre alta. Infatti la maggior parte dei ragazzi ha avuto nausea e diarrea, e qualcuno ha vomitato. Quelli che sono rimasti dalla mattina ora già stanno in giro, si sentono bene dopo il riposo e la dieta a base di brodo di pollo, tanta acqua ed elettroliti. Vada come vada, domani rimarranno a riposo a tutti, tranne noi che, almeno finora, non abbiamo avuto niente e ci sentiamo veramente bene. Poi devo dire che Cesare, il nostro studente di medicina al quarto anno, è veramente bravo, non solo ti trasmette una tranquillità unica, ma piano piano vede ognuno dei ragazzi e spiega pure loro cosa sta succedendo, tutto con una pazienza e calma che io personalmente invidio sanamente. 

Quindi oggi abbiamo iniziato a lavorare nel parco giochi. Di lavoro per noi non ce tantissimo, oggi che eravamo meno del solito abbiamo lavorato abbastanza, e domani che è domenica lavoreremo solo metà giornata già che gli operai devono anche loro passare del tempo con la famiglia. Praticamente la metà lavorava facendo buche, picconando, scartavetrando e pitturando, mentre gli altri facevano giochi con i numerosi bambini del posto. Abbiamo fatto vedere loro il modello di quello che sarà il loro parco giochi, erano felicissimi! Ma è stato più bello ancora quando una delle bambine ha detto: “ma guarda che noi preferiamo che veniate voi a passare del tempo con noi piuttosto che avere il parco giochi”. 

Sono una persona a cui piace prevedere il più possibile delle cose, avere tutto sotto controllo, e qualsiasi cosa scappi a questo controllo mi crea delle volte delle insicurezze. Con gli anni la realtà mi ha insegnato più volte che questo è impossibile, e che se vissuto in un determinato modo, può creare solo sofferenza e ansia inutili, almeno nel mio caso. Il controllo su tutto non ce l’avrò mai, e va bene così, la realtà mi supera largamente, ogni situazione con tutte queste persone rappresenta un universo di possibilità che dipendono a sua volta tante volte delle libertà personali e tante altre volte delle fragilità personali. Credo che l’atteggiamento più sano sia quello che ti porta a mettercela tutta per tenere tutto chiaro, e allo stesso tempo mettendolo nelle mani di Dio che veglia su di noi sempre. Occhio, non è un atteggiamento che conduce al non far nulla, o al aspettare seduto… faccio di tutto per tenere le cose nel suo posto, nel suo momento, per farle rendere la bellezza alla quale sono chiamate, ma so, soprattutto con gli anni, che il risultato finale non dipende solo dal mio impegno, ma da tantissimi fattori che influiscono su tutto e su tutti.
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La giornata inizia con una piacevolissima sveglia libera, che però ha il limite della colazione, stabilita tra le 9:30 e le 10:30. Mangiamo tanto, persino gli avanzi del barbecue della notte prima. Poi sistemare tutto quanto e partenza alle 11:30, in cinque pulmini che ci accompagnano da Organos all’aeroporto di Talara. Un’ora e passa di viaggio per scoprire che l’aeroporto di Talara è veramente minuscolo, tre voli al giorno, una sola compagnia aerea, una torre di controllo minuscola… e potete immaginare le paranoie dei ragazzi su come sarà l’aereo! Con due elici ho detto loro! 

Partenza alle 15:20 e aereo più o meno puntuale, verso le 17… poi un hora di tempo per mangiare qualcosa al volo e partenza in pullman alle 18, dall’aeroporto verso Cañete. Nel frattempo salutiamo Juan Fernando, il doc che torna in Italia per fare degli Esercizi Spirituali e consegna lo zaino delle medicine al nostro discreto Cesare, che un po timoroso prende in mano la situazione! Cesare sta al 4anno di medicina, quindi ce lo faremo bastare! Salutiamo anche Antonio, che torna a Londra per motivi scolastici; e accogliamo Edmondo, che arriva da Londra, e che starà con noi fino al 12 agosto!

Arriviamo a Cañete verso le 21, cena verso le 21.30 e alle 22.3o ci distribuiamo nelle stanze. Domani riprendiamo i lavori, un parco giochi e 16 case ci attendono!
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Siamo arrivati a Órganos, una spiaggia sulla costa nord del Perù, verso le 6 del mattino, dopo 9 ore di viaggio in pullman, includendo i vari passaggi di migrazioni tra l’Ecuador e il Perù. Una volta che abbiamo distribuito le stanze della casa che ci ospita, siamo praticamente tutti andati a dormire, tranne un paio di matti che mi hanno chiesto di poter andare subito in mare, cosa che ho rifiutato visto che l’oceano è una cosa parecchio diversa al mare mediterraneo… 

Dalle 10 alle 11 abbiamo mangiato e poi tutti, quasi tutti, al mare a farci un bagno, giocare con la sabbia, o semplicemente sdraiarsi al sole… un sole che a fine giornata si è visto che ha tradito più di uno, soprattutto quelli meno coloriti del gruppo… cioè vi dico solo che persino io che sono nato abbronzato mi sono un po ustionato… potete immaginare gli altri…  

Siamo risaliti a casa per mangiare, un fritto di mare e un ottimo cebiche! Purtroppo la cucina qua è piccolissima, e ha solo due fornelli, quindi abbiamo mangiato praticamente dalle 14:30 fino alle 17:30… con qualche matto siamo ri andati in spiaggia per fare qualche partita di beach volley fino alle 18:30… e infine abbiamo fatto un rosario al tramonto dal terrazzo della nostra casa. 

Per cena invece i ragazzi hanno preparato un barbecue, e la notte è andata oltre con chiacchiere, giochi di carte e anche qualcuno che andava a dormire molto presto.
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