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Come il giorno precedente la nostra giornata inizia alle 7:30, ma questa volta invece di fare la preghiera del mattino decidiamo di spostare la messa alla mattina. Qua non ce responsabile della sveglia, ognuno dei ragazzi e ragazze si sveglia come può, e vedi di tutto, da chi si sveglia mezz’ora prima per lavarsi in tranquillità, a chi mette la sveglia alle 7:23 cercando di approfittare al massimo i così amati minuti di sonno. 

Partiamo da casa alle 9 ma dobbiamo fermarci in un centro commerciale perché i ragazzi, non capisco per quale motivo, vogliono cambiare soldi in moneta nazionale. Sarà che sono rimasto “a secco” e quindi voglio evitare di avere soldi da spendere, quindi non vedo molto il senso di cambiarli. Poi sinceramente non è che ci siano tante occasioni per usarli. Lavoriamo in un comune povero dove nei dintorni non ce nulla, cioè ci sono un sacco di negozi famigliari ma niente che possa esigere più di tanti soldi. E poi la casa dove alloggiamo si trova fuori della città, per cui la nostra vita passa da un estremo all’altro, senza troppe tappe intermedie. Qua dove lavoriamo ci riempiono di merende belle consistenti, e quindi non è che la fame sia una costante tra i ragazzi. Alla fine tra una cosa e l’altra arriviamo al centro di lavoro alle 11:30 e si inizia un duro lavoro. È il secondo giorno di lavoro e quindi le cose camminano in maniera costante, i ragazzi sanno già dove postarsi e cosa fare per cui i tempi morti sono pochi. Non dico che lavorino in frettissima, fanno le cose bene, nei tempi giusti e con uno spirito bellissimo. È vero che il tipo di lavoro è un po ingrato, soprattutto se paragonato a quanto abbiamo vissuto la settimana prima. È che costruire una casa, per quanto umile e piccola, è proprio un’altra storia, e a livello di soddisfazione personale e di impatto diretto sui beneficiari è anni luce di qualsiasi esperienza, cioè al meno è come lo vivo io. Quindi qua si torna alla pedagogia della rinuncia, di fare le cose in modo totalmente gratuito, quindi non solo senza ricevere nulla in cambio ma rinunciando persino ai frutti e ad ogni soddisfazione personale. Certo, non è che le soddisfazioni non ci siano, ma quando si costruiscono strutture capire il senso è più faticoso. Il bello, come dicevo ieri, è che vedremo la struttura finita. Personalmente mi ha colpito come a fine giornata il muro che non c’era un giorno fa ora c’è già a metà. E anche vedere un gruppo di ragazzi darsi da fare come veri operai ha qualcosa di bello. C’è però un episodio che marca la giornata. Uno dei nostri ragazzi, noto per la sua forza fisica ma poco riflessiva, riesci a spaccare un tubo del gas nascosto per terra… al che scatta l’emergenza non solo qua nel centro dove lavoriamo ma tra tutti i vicini. Non è niente che non si risolva in questioni di ore, e grazie a Dio al di là dello spavento iniziale, non cè un pericolo imminente. Ovviamente do l’ordine di smettere con le sigarette almeno fino a quando il danno sarà totalmente riparato. Quasi quasi che vorrei che il danno non si riparato, visto che faccio a meno volentieri dal fastidioso odore del fumo. 

Alle 16:30 arriva il nostro trasporto, don Omar è il nostro autista. Qua a Medellin si danno tutti del Lei, e don non sta ai sacerdoti come da noi in Italia, ma per qualsiasi uomo, mentre il doña va davanti al nome di ogni donna. Riconosco che per me è un po strano, ma è tutta la cultura che è così, e quindi tocca abituarsi. Don Omar ci porta a casa e verso le 18 ci siamo. I ragazzi, cioè tutti noi, abbiamo 90’ per riposarci, distrarci, lavarci, fare siesta, insomma ognuno usa il suo tempo come meglio lo ritenga, e ci rincontriamo in cappella per l’adorazione del giorno. Finito di pregare mangiamo tutti insieme e alle 20:50 ci rincontriamo in auditorio per affrontare la prima delle tre tematiche del viaggio. Credo che tra i danni più grandi fatti a tutta una generazione di “credenti” è quella di aver comunicato un’idea di Dio che nulla ha a che fare con il Dio dei Vangeli. Una catechesi fondata sulle sole regole e sradicata da ogni comprensione reale di chi è questo Dio a cui uno dovrebbe affidare la sua vita porta a una fede che nel quotidiano è inesistente o in ogni caso vissuta come costrizione e limite alla verità. Se non ce in ognuno di noi una scoperta, prima tramite le testimonianze ma poi in secondo luogo, ma più importante della prima, tramite la scoperta e esperienza personale, di un Dio che è amore, che la sua essenza è l’amore e che conseguenza di questo amore è anche il fatto che si tratta di un Dio vicino che non ci abbandona mai, poco si darà retta a quanto mostra come stile di vita il Vangelo. Perché dovrei credere a e in Qualcuno che non riconosco presente nella mia vita, o che peggio ancora non scopro come qualcuno che ci tiene a me e mi ama? Non è strano trovare ragazzi che dopo anni di catechesi si sentono per la prima volta dire che Dio è amore, che non è un ente lontano, a un Dio vicino, e che si tratta di un amore personale ed esclusivo con ognuno di noi. Molti si soffermano a una visione estatica di Dio o a un ente della filosofia. Non posso contraddirmi e sono ben consapevole che per quanti concetti o idee giuste su Dio ci sforziamo a dare, basandoci su ciò che viene fuori dai Vangeli, che sono la Parola di Dio, sarà sempre insufficiente se ognuno non fa propria quest’esperienza, nei tempi e nelle modalità proprie di ognuno, perché il rapporto che ha Dio con ognuno di noi è appunto unico. 

Una prima conseguenza del sapersi amati da Dio è prendere consapevolezza che da Lui siamo scelti, e siamo scelti perché ci conosce. Non ce in noi nulla che Gli sia sconosciuto. Sa tutto di noi e con tutto ciò, e potremmo dire anche, nonostante tutto ciò, ci sceglie. Ci sceglie perché vede oltre, perché non si sofferma in tutte le piccolezze o insufficienze su cui ci soffermiamo noi. E dice anche il bene di noi, ci benedice. Quante volte facciamo fatica a vedere il bene in noi? quanto facciamo fatica nel dire il bene degli altri? Preferiamo, forse perché è più facile, soffermarci in tutto ciò che non ci va a genio, di noi stessi e degli altri… Dopo una breve introduzione alla tematica del giorno, ci dividiamo in tre gruppi per approfondire. Finiamo i gruppi facendo un invito ai ragazzi a individuare nella loro vita, quelle situazioni, atteggiamenti, modi di fare o di pensare, modi di vedersi, forse anche persone, che contraddicono la nostra realtà di essere scelti e benedetti. Per cogliere il nostro essere amati, perché lo siamo già e quel che manca è scoprirlo, notarlo, viverlo appunto, abbiamo bisogno di entrare in quei spazi e tempi in cui questa consapevolezza può venire fuori. Tante volte abbiamo degli ostacoli sia dentro che fuori di noi che non soltanto non ci lasciano vivere da amati, ma che puntano esattamente nella direzione contraria. 

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Mercoledì è un giorno di viaggio. Lasciamo l’albergo di Lima alle 10 del mattino e arriviamo in aeroporto verso le 11, un’ora di viaggio per soli 8km in città… purtroppo questa è la realtà di Lima. Al check in ce pochissima fila e quindi facciamo tutto abbastanza in fretta. Il nostro volo poi parte con qualche minuto di ritardo, e alle 14 siamo già in aereo e voliamo per poco meno di tre ore. Alle 17:30 siamo già fuori all’aeroporto e ci viene a prendere Omar, un tipico ragazzo “paisa”, che il modo di chiamare le persone di Medellín, e ci porta alla casa di ritiro che ci ospiterà tutti questi giorni. La casa si trova poco fuori la città, e ha una vista pazzesca. Essendo una casa di ritiro ci sono alcuni limiti, e altri vantaggi. Ce un bellissimo silenzio e ci offre tutti gli spazi necessari per la preghiera e le nostre riunioni. Ha un orario abbastanza rigido, e poi ce da dire che il ritmo di vita qua è molto vicino a quello della campagna. La maggior parte delle persone si sveglia per le 5 e alle 10 è già a letto. Non se ne parla proprio di fare quegli orari! Quindi la sera, dalle 10:30 in poi, quando le nostre attività sono finite e i ragazzi hanno voglia di giocare e chiacchierare, si deve fare tutto in silenzio quasi liturgico!

Il giovedì siamo sollevati dal fatto che la sveglia sarà praticamente sempre alle 7 del mattino, che dinanzi alle 6:30, anche se sono solo 30` in più, fa un effetto sorprendente, sembra che siano altre 2 ore di sonno. Siccome si tratta della prima volta che siamo a Medellin, i responsabili della fondazione con la quale lavoriamo qua vengono a spiegarci il senso del lavoro che faremo, ma soprattutto chi sono loro, cioè la fondazione. Partiamo quindi alle 9:30, e per richiesta della fondazione, faremo questo primo giorno con i mezzi pubblici. Fa impressione l’ordine e la pulizia della città. Prima prendiamo un pullman per una ventina di minuti, non tanto per la distanza quanto per il traffico. Arrivati in città prendiamo el tranvia, per una decina di fermate per altri 30 minuti circa. Arriviamo alla stazione della funivia che ci porterà fino a metà della montagna dove lavoreremo questi giorni. Ci mettiamo altri 10 minuti per risalire fino all’ultima fermata. Infine un pullman ci porta fino al centro solidale dove si svolgeranno i lavori. Questo ultimo ci mette 15 minuti ad arrivare. 

Ci spiegano il lavoro: si svolgerà su quattro fronti: prima di tutto ridipingeremo tutto il centro solidale. Nel lato occidentale, diciamo, costruiremo un muro di mattoni che attualmente non esiste, e quindi si tocca il terreno della proprietà adiacente. Sul dietro, ce da levare tutta la vegetazione, e qua ce ne tanta, e costruire una recinzione di ferro, e dovrà esserci anche una porta visto che va a finire con la strada dietro il centro. Invece sul fronte orientale si farà un altra recinzione che però è adiacente con il terreno accanto. Poi un centro solidale è uno spazio che offre diversi servizi alla popolazione della zona. Riceve donazioni che poi distribuisce tra la gente più povera e fa anche un lavoro di catechesi appoggiandosi sulla parrocchia, che dista qualche minuto a piedi ancora più su. Si tratta di una zona povera ma non è la povertà estrema alla quale siamo abituati quando lavoriamo a Cañete. Hanno tutti una casa di mattoni, ma è tutto uno sopra l’altro, ci sono pochi spazi, e tutto molto disordinato e esteticamente veramente brutto… un vero contrasto vista la vegetazione pazzesca della zona.

Iniziamo a lavorare quindi divisi in 4 gruppi. Poco dopo avviati i lavori i ragazzi a carico della parte di dietro, quindi che devono rimuovere tutta la vegetazione, tornano un po spaventati perché dicono di aver trovato dei serpenti che a loro detta sono velenosi. In realtà la vera storia è che a trovarli sono stati gli operai che ci accompagneranno tutti questi giorni, e sono stati loro stessi a prenderli supponendo che siano velenosi. Ovviamente questo ha creato un po di panico e più di una mi ha chiesto di andare a prendere i parastinchi. Prendiamo le precauzioni del caso e continuiamo con i lavori. Sui vari fronti si lavora, nonostante la stanchezza accumulata degli ultimi giorni. Si fa un po di tutto, da ferri per le fondamenta, scavare, picconare, spostare terra e vegetazione, fare cemento in modo manuale e iniziare a mettere i mattoni. Diciamo che è un tipo di lavoro a metà tra quello fatto ad Arequipa con la scuola e a Cañete con le case. Nel senso che sono lavori pesanti e lenti, che però a differenza di quanto fatto ad Arequipa dove non vedi bene i risultati, si spera che per giovedì della prossima settimana sia tutto finito. 

Torniamo a casa con gli stessi mezzi con cui siamo arrivati, e ci mettiamo 90’. Siamo stanchi, tra la giornata, gli spostamenti, l’accumulo di tutte le esperienze. Arriviamo verso le 18:15 alla casa che ci ospita e alle 19 ci incontriamo in cappella sia per la messa che per l’adorazione. Dopo mangiamo e dopo mangiato partono le partite alle carte, il famoso “lupus” e qualche uno. Io vado a letto alle 10:30, quasi commosso per stare per affrontare quasi più di otto ore di sonno di fila… un sonno infranto visto che le urla dei ragazzi, più che urla risate, mi svegliano verso le 11:30 e poi faccia fatica a riprendere il sonno… 

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