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Oggi come mai in tutte le missioni, anche quelle scorse, la sveglia si svolge liberamente, con l’unica condizione che la prima colazione sarebbe stata servita massimo entro le 10. Non so bene come sia andata la mattina in generale, mi sono svegliato verso le 8 e fatto prima colazione alle 8:30 in un tavolo con altre 9 persone del gruppo. Piano piano arrivavano altre, fino a 15 in tutto, quindi penso che le altre 35 abbiano dormito molto più a lungo. L’unico appuntamento della mattina è quello delle 12:30, in cui decidiamo di pregare il rosario nell’unico salottino dell’albergo, accanto alla reception. Si prega per le famiglie per cui abbiamo costruito questa settimana, si prega anche per quelle che ancora non l’hanno ricevuta la casa, si prega per un papà di un amico di uno dei ragazzi che è volato in cielo qualche settimana fa, e si prega anche per il papà di una amica di un altra delle ragazze del gruppo che ci ha lasciato questa mattina dopo una lunga lotta contro il cancro. Finito di pregare mangiamo insieme e ci prepariamo per partire. 

Come avevo scritto precedentemente, non avrei dato la giornata libera e avrei cercato qualche alternativa che renda la nostra giornata piena… di senso. Come un fulmine, due giorni fa, mi viene in mente di portare i bambini della baraccopoli nel cinema. Faccio la gestione del caso e prenoto tutta una sala per oggi alle 15. 235 posti tutti per noi. Arrivano al cinema 126 bambini e 48 tra mamme e papà. Per molti bambini è la prima volta che vanno al cinema. L’ingresso diventa una festa, bambini che chiedono popcorn e bibite in quantità industriali, e i nostri ragazzi che usano le loro ultime risorse economiche per fare loro questo piccolo quanto significativo regalo. È bello vedere il loro entusiasmo per qualcosa di così piccolo. Un ricordo dello stupore che dovremo tutti nutrire e custodire, senza mai smettere di lasciarci sorprendere e toccare da quanto ci circonda. Poi per loro venire al cinema significa anche tirare fuori il miglior outfit, le scarpe più pulite che si possano trovare a casa, i vestiti più carini, nonché la pettinatura più adatta all’occasione. Anche gli adulti sono felici di questa opportunità, e non smettono di ringraziarci. Il film inizia alle 15 e per 2 ore assistiamo a un via va dei nostri ragazzi e dei bambini, chi alla ricerca di ricaricare il popcorn o la coca-cola e chi alla ricerca del bagno. Il film scelto è il Re Leone, che suscita l’entusiasmo non solo dei nostri ospiti, quanto dei nostri ragazzi. Anche a me sarebbe piaciuto vederlo, lo ricordo come un film che mi ha strappato le lacrime e allo stesso tempo un film che ho usato in diverse occasioni quando tanto tempo fa facevo l’insegnante di religione. Purtroppo devo passare buona parte del film fuori dal cinema scrivendo per l’attività serale. Usciti dal cinema salutiamo i nostri amici, chi in pianto, chi tra mille abbracci, e anche tante promesse di rivedersi. A 4 dei ragazzi più grandi, 5 con me, ci viene chiesto da diverse famiglie di fare i padrini di battessimo dei propri figli. Abbiamo accettato tutti, previa preparazione ovviamente, e rinviamo l’appuntamento al mese di aprile, visto che abbiamo tutti l’intenzione di far parte del gruppo di adulti che dovrebbe partire proprio in quel mese del 2020. 

Rientriamo a casa verso le 18:10 e il prossimo appuntamento è alle 18:30. Leggo la tradizionale lettera di fine viaggio ai ragazzi, frutto del sacrificio di vedere il Re Leone! Ecco il contenuto della lettera…

Cañete 29 luglio 2019, 
Cari ragazzi, cari amici, 
Per la maggior parte di voi sono passati 16 giorni da quando vi siete incontrati negli aeroporti di Fiumicino e di Malpensa, pronti per partire, affrontando un viaggio di più di 30 ore, contando il tratto in pullman, con tanto di mezzo rotto, da Guayaquil a Canoa. Non so voi, ma per me sono passati molto in fretta tutti questi giorni, specialmente questi ultimi 6 giorni trascorsi qua a Cañete. 
Non è oggetto di questa, chiamiamola, lettera, fare un resoconto di quanto abbiamo vissuto. Avrete online una sorta di diario che ho provato a scrivere quotidianamente, con qualche pensiero o riflessione. Ovviamente partite dal mio punto di vista, da ciò che vivevo io o da cosa mi risulta stavate vivendo voi. Avrete anche una cartella con centinaia di fotografie che vi permetteranno conservare nella memoria i diversi momenti del viaggio. Ma più importante ancora di qualsiasi diario o di qualsiasi album fotografico saranno tutte quelle cose che riuscirete a custodire nei vostri cuori, perché nel fondo qua, come nella vita, si gioca tutto nel nostro cuore, ed è nel nostro cuore che vorrei portassimo il nostro sguardo nei prossimi, spero, brevi minuti. 
Cosa ti porti di ritorno in Italia? Di cosa si è riempito il tuo cuore? Riesci a darli un nome? Non è una domanda scontata e meno ancora lo è la risposta. Condividiamo più o meno tutti che l’esperienza di questi giorni è stata un’esperienza di amore, di libertà, di trovare un senso al nostro fare quotidiano. Niente di tutto ciò sarebbe vero se ognuna di queste dimensioni non fosse nata da un’esperienza del vostro cuore, un cuore leggero ma allo stesso tempo capace di andare in profondità. Un cuore che è stato allenato, giorno dopo giorno, a fare piccoli passi, anche sacrifici, per poter disporsi ad amare di più. Il cuore è il nucleo della tua persona, lo spazio più intimo, quello dove stai tra te e te, e in cui solo tu puoi decidere chi far entrare tra el persone che ti circondano. È anche lo spazio in cui agisce Dio, lo spazio dove ti parla, nonostante le tue ansie o il tuo caos interiore. È lo spazio dove sei nudo o nuda, e dove non puoi ingannarti. È lo spazio in cui sai se sei pieno, se sei felice, se sei sereno, e se quanto fai o semini nella tua vita, è vita o morte, morte in vita. 
Di cosa è pieno il tuo cuore? A che cosa è attaccato? Il tuo cuore è un cuore libero? Solo un cuore libero può amare davvero. Solo un cuore libero può guardarti per ciò che tu sei, e quindi per ciò che vali, e non tanto per ciò che fai o riesci a ottenere con i tuoi sforzi. Lo sguardo che hai su di te, lo sguardo del tuo cuore su di te, è lo stesso sguardo che avrai sugli altri e di conseguenza è uno sguardo che condizionerà il tuo modo di amare. Come abbiamo avuto modo di ricordarvi più volte, nelle nostre mani, nella nostra libertà, c’e la possibilità di scegliere chi amare, quando farlo e come farlo… ma non fa parte della nostra libertà scegliere chi ci amerà, come o quando lo farà. Sarà solo compito nostro l’accettare o rifiutare questo amore. So che questo può essere una grande sofferenza a tanti livelli, in fin dei conti la nostra umanità ci richiama a una certa reciprocità, che purtroppo tante volte non arriva. Forse siamo troppo attaccati alla logica dello scambio, del dare per ricevere, del misurare quanto do in proporzione a quanto mi è stato dato. Purtroppo un amore vissuto così non è amore, si tratta di un cuore libero, o schiavo dal rendiconto dell’altra parte. Il vero amore si dona e basta, e sa che così facendo si rende vulnerabile all’altro, per consegnare la parte più preziosa, e più sensibile e fragile allo stesso tempo, a qualcun altro che diventa qualcuno in grado di ferirci. Purtroppo siamo tutti noi cresciuti in questa cultura della logica dello scambio equo, ma in amore la matematica non conta, non porta la meglio, perché in amore semplicemente non esiste. In amore c’è sempre uno che da più dell’altro, è sempre così e non c’e nulla che tu possa fare. O meglio, l’unica cosa che è nelle tue mani è l’amore che metterai nei tuoi rapporti, nelle tue azioni e nelle tue scelte. Solo un cuore veramente libero può amare così. 
Ma un amore così non arriva come per magia. Un amore così ha bisogno di nutrimento, può solo nascere da un cuore che trova la sua sorgente altrove, non in noi stessi che siamo così piccoli, così fragili, così rotti o spezzati. Con questo non voglio dire che l’amore umano sia da buttare, o che non serva a niente, ne abbiamo profondamente bisogno. Ma è un bene riconoscere che l’amore di cui ha bisogno il nostro cuore, che ce lo esige proprio, è un amore che non potrà concederci niente che viene da questo mondo. C’e nell’anima dell’uomo qualcosa di troppo grande per poter essere riempito solo con la finitudine di quanto ci circonda. Tante volte la nostra esperienza, persino nei rapporti o nelle esperienze più belle, è che prima o poi finiscono. Invece il cuore dell’uomo è fatto in modo tale da desiderare sempre di più. Potremo avere tutti i beni del mondo, tutte le possibilità del mondo, raggiungere tutti i nostri obiettivi, e dovremo sicuramente andarne fieri, perché saranno frutto, si spera, del nostro sforzo, ma niente di tutto ciò potrà mai placcare la sete di amore che sgorga dal nostro cuore. Dinanzi a questa consapevolezza, rimaniamo come di fronte a un bivio. 
O diventiamo cinici, cioè non ci aspettiamo più nulla dall’amore, rassegnandoci a vivere con una consapevolezza che non ci permetterà mai di sognare, di desiderare, di fare affidamento a qualcuno, perché niente ne nessuno potrà mai consegnarci questa serenità a cui ogni cuore anelita. Vivremo quindi alla ricerca del controllo su tutto, e su tutti, come se ogni cosa dipendesse solo e unicamente da noi, come se l’universo intero si limitasse a ciò che riesci a vedere o sentire, dimenticando che in realtà è ben poco quanto possiamo controllare. 
L’alternativa a questo cinismo, è, secondo me, la ricerca di questo amore che esiste a prescindere, che ti dice che vai bene così, che ti vuole così come sei, che non sei da buttare, che non chiude gli occhi dinanzi alle nostre ombre ma che le abbraccia proprio, perché non ha paura della nostra imperfezione, non teme la nostra fragilità, anzi le ama più di qualsiasi cosa perché è proprio lì, nel tuo limite, nella tua esperienza di bisogno e di riscatto, nella tua esperienza di piccolezza, che l’amore di Dio può agire. Dio non potrà mai agire in te se pensi di essere già arrivato, se ti credi perfetto, se pensi che non hai bisogno di nessuno e niente o che ti basti a te stesso. Puoi essere la persona più brava e forte al mondo, puoi anche essere moralmente intoccabile, ma c’e prima o poi un richiamo interiore che trascende ogni cosa che tu sei in grado di fare o di conquistare, c’e un punto nella vita in cui essere bravi o giusti non basta. È curioso come il Vangelo con cui abbiamo iniziato questo viaggio inizia proprio con la domanda, da parte di uno che considera se stesso come perfetto nella legge,  su come fare per raggiungere la vita eterna. La stessa domanda che porge a Gesù quel giovane ricco del Vangelo, quel giovane che quindi aveva tutto materialmente, e che era pure un uomo giusto, e che nonostante ciò percepiva dentro di sé il bisogno di una risposta che andasse oltre e non finisse li, sull’orizzontalità del nostro mondo. Dietro la domanda sulla vita eterna si nasconde la domanda sulla felicità, sulla pace del cuore, che è ciò che ognuno di noi probabilmente ha più a cuore, magari con tanti nomi. Quindi torniamo al cuore, c’è nel tuo cuore la fame, la sete, la voglia di questa eternità ? O pensi davvero che il tuo cuore sarà apposto con le briciole di amore e valorizzazione che scegli o che ti lasci vendere dalla nostra società, quei contentini che magari ti placano per qualche tempo ma poi ti lasciano anche più vuoto di prima. Vuoi trovare la pienezza nel fare festa, nel possesso, nell’accumulo di beni? Vuoi trovare nella lode ai piaceri totalmente slegati dall’amore? Fidati, o pensaci, ogni volta che hai provato le gioie del divertimento mondano, te ne sarai accorto che non ha niente a che fare con l’esperienza di pienezza che ti da aiutare il tuo prossimo o vedere il bene che puoi fare, cioè vedere che la tua vita può avere un senso molto più grande di quanto ti offre il nostro caro mondo moribondo. Guarda il tuo cuore e chiedi se una sola delle tue feste, delle tue ubriacature e meglio restiamo con quello come esempio, pensaci se una sola di quelle cose ti ha riempito, ti ha mai fatto tremare come le esperienze di questi giorni. Quando adulti in lacrime ti chiamiamo angelo perché avevi fatto loro una casetta. Quando eri vittima dell’affetto di tutti questi bambini che ti abbracciavano veramente senza aspettarsi nulla in cambio. Dimmi, anzi non a me, non importa un tubo quanto tu possa dire a me o a chiunque di noi consacrati, dillo al tuo cuore se la pienezza e le emozioni provate in puntuali momenti lungo queste missioni non valgono mille serate, sii sincero con te stesso…
Sai perché è importante, questione di vita o di morte, che tu ti possa lasciare incontrare da Dio e da Lui amarti? Perché tu hai bisogno di Lui quanto Lui ha bisogno di te. Certo, da una parte sappiamo che la nostra vita è minuscola, e che in termini fisici o storici, se il giorno di domani moriamo, non cambia nulla, ma proprio nulla. Ma facendo accenno a quella profondità che vi chiedevamo dal primo giorno, ricorda che sei unico, che come te non c’e stato, né c’è né ci sarà mai nessuno. E ricorda anche che morirai, e che non sta a te decidere né quando né come. E queste due verità, certezze, rendono la tua vita ancora più unica, perché sei l’unico in grado di viverla. Dio ha bisogno di te, perché sei unico, perché senza di te si perde qualcosa di unico nel mondo, nel mondo delle persone che solo tu potrai amare, con le quali solo tu avrai parole da pronunciare, e alle quali solo tu potrai fare determinati gesti. Se uno solo di voi venisse a mancare in questo gruppo, ognuno di noi perderebbe più della tua persona, perché si perderebbe tutto ciò che tu susciti negli altri e del quale gli altri siamo dei beneficiari. Niente della tua vita è da buttare, ti serve tutto, perché tutto tutto, anche i momenti più dolorosi, ti hanno reso la persona che tu ora sei, hanno aiutato a costruire quella unicità che ti ritrovi ogni mattina dinanzi allo specchio. Sai che c’è… solo la fede ti potrà dare uno sguardo sulla tua vita che non la vede come un disastro, ma come un’opportunità, di crescita, di amare sempre di più, di generosità. Sola la fede, fede vera quanto semplice, è in grado di donarti quella pace e serenità che il tuo cuore tanto desidera. Perché è la garanzia di un amore eterno, di un amore che non finisce, di un amore che sta sempre lì per te pronto ad abbracciarti, a sostenerti, a proteggerti, di quell’amore, rapporto, del quale abbiamo bisogno per lasciare andare tutte le nostre ansie e angosce, perché credi finalmente che è vero che sei nelle mani di un padre amorevole e non in preda al destino. Perché è la garanzia della speranza della vita dopo la morte in grado di trasformare un momento drammatico come la morte, in qualcosa di dolorosamente bello. Sai quando ho visto la potenza della fede in questo viaggio? Quando immeritatamente sono stato invitato ad una delle casette della baraccopoli, dove vegliavano un morto, un uomo di più di 80 anni che è morto mentre era seduto al suo lavoro la mattina di ieri. E mentre mi rivolgevo a la vedova, immaginando a quanto hanno vissuto insieme in tutti questi anni di povertà economica, più di 50 anni di vita passata insieme, cercavo di pensare all’esperienza di perdita di questa signora (cioè ha perso il compagno di una vita!). Sono solo riuscito a dirle che il suo marito ora stava nel cielo, che si prendeva cura di lei e la stava aspettando per quando sarebbe stato il momento giusto. E sapete che c’è. Se le mie parole fossero andate a finire in una persona di poca fede, probabilmente non avrebbero suscitato quanto sto per raccontarvi: la vecchietta, tutta rugosa, alta un metro e cinquanta, con gli occhi lucidi e rossi dai pianti, è riuscita ad alzare lo sguardo verso di me, con una tenerezza che poche volte in vita mia ho provato dinanzi a uno sguardo, mi ha sorriso, mostrando la vecchiaia della dentatura con qualche dente venuto meno, dicendomi: Si, ora veglia su di me e mi sta aspettando nel cielo. Si lo so, forse è una cosa molto piccola, ma la serenità di quelle parole, di quello sguardo, la felicità di quel sorriso, non erano frutto di uno sforzo umano, ma di una forza di fede che sa che nonostante tutto e per quanto ci affanniamo in questo mondo, noi non siamo di questo mondo e che la nostra vera casa è il cielo, è la vita eterna. Solo una fede salda e vera, una fede umile, è in grado di donarci la serenità e la pace nel cuore in mezzo alla tormente della vita. Il resto sarà sempre umano sforzo, che per quanto necessario, sarà sempre insufficiente dinanzi alle sfide della vita, della vita interiore, della vita dello spirito.
Ecco guardiamo un ultima volta il nostro cuore. Vuoi donarli un amore infinito? o vuoi che provi ad accontentarsi con quanto scade e finisce di questo mondo? Vi assicuro che non è una strada facile, che ha bisogno di sforzo, di rinunce, di mettere in dubbio te stesso e tutto ciò a cui hai dato il valore o il compito di salvarti, di dare un senso alla tua vita. È un compito lungo, dettagliato, ma ne vale la pena, ne vale veramente la pena. Solo un cuore libero può amare veramente. Solo un cuore povero e ricco allo stesso tempo può lasciarsi incontrare da Dio e lasciarsi amare non nei tuoi termini ma come solo Lui sa fare, per il nostro massimo bene. Solo allora, potrai mettere in pratica liberamente la libertà dell’amore, e cioè amare senza riserve, senza attese, senza aspettarti nulla in cambio, e ti accorgerai che nonostante i dolori e le sofferenze, amare così vale la pena, perché amando saniamo, amando perdoniamo, perché il nostro amore non sarà solo nostro, ma un riflesso di quell’amore incondizionato ed infinito che fonda e sana tutto, l’amore di Dio in noi. Che bello vero? Poter amare gli altri come Dio ama te… ti auguro di poterlo mettere in pratica. Ricorda però che non dipende dal tuo sforzo personale, ma è un dono per chi si mette all’ascolto di Dio e prepara il proprio cuore per accogliere quel seme che ogni giorno Lui prova a posare nella nostra interiorità.
Domani tornerete a casa. Spero di cuore che sappiate portare con voi l’essenza di questo viaggio, affinché quanto avete seminato qua, possa dare frutto là. Di là c’e molto più bisogno di amore di quanto immaginiamo, e penso che di questo siete molto consapevoli. Valorizzate la vostra vita, dono unico quanto raro, e siate responsabili con essa, maturate, non in fretta, ognuno ha i suoi tempi, ma maturate, è importante essere pronti, non sai mai quando sarai chiamato in causa per qualcosa di grande e bello. Ricordati di pregare e di concederti momenti di riflessione, la cura della tua interiorità dipende da te. E questa determinerà la qualità umana della persona che sarai nel futuro. 
Grazie per il vostro entusiasmo, le vostre forze, la vostra giovinezza e scusate se in qualche cosa vi abbiamo procurato disagio  o qualche dispiacere, o se semplicemente non siamo stati all’altezza delle vostre difficoltà o inquietudini. Anche noi siamo limitati e fragili, più di quanto sembriamo, e anche noi siamo molto consapevoli che dobbiamo tutti fare riferimento alla fonte di amore inesauribile. Grazie anche ai ragazzi dello staff, che ora continuano il loro viaggio verso Colombia. Senza di loro, anche chi di loro è già partito, tante cose non sarebbero state possibili. Devo a loro, in parte importante, una serenità rara nel vivere il viaggio di missioni. Potrei passare paragrafi ringraziandoli, ma non è questa la sede. Grazie anche ai miei confratelli. Che bello poter annunciare il Signore, ognuno dalla persona che è e con i doni con cui il nostro Maestro ha voluto arricchire non solo noi stessi ma la nostra comunità tutta. Molti di voi non lo sapete ma come comunità negli ultimi anni abbiamo passato momenti molto duri e che purtroppo hanno messo in questione tante cose. Poter condividere quest’esperienza di volontariato e apostolato non soltanto con miei confratelli coetanei ma anche con i nostri confratelli più grandi, per non dire vecchiotti, è per me una conferma di quanto Dio ci vuole bene e di quanto la nostra comunità apostolica ha bisogno di ognuno di noi. Grazie confratelli per la vostra risposta a Dio e per servire con così tanto amore sia i nostri amici più bisognosi, sia tutti questi ragazzi che abbiamo accompagnato in questo viaggio. Grazie infine al nostro Padre Eterno, che ha reso tutto questo possibile. 
Fernando

Finita la lettura, ogni ragazzo, di quelli in partenza domani, prende una busta e qualche foglio di carta per scrivere la lettera a sé stesso, che verrà chiusa bene e consegnata a noi consacrati. Ovviamente il contenuto è personale, e ognuno potrà avere la sua lettera quando lo vorrà o quando tornerà, se tornerà. I ragazzi più “letterati” finiscono verso le 20, e noi abbiamo la messa di fine missioni alle 20:30. Nella messa si percorre il Vangelo di Marta e Maria, una che serve con premura, l’altra che contempla. Un invito chiaro, al meno per quanto mi riguarda, che un servizio efficace nell’amore suppone la contemplazione di questo amore, il riempirsi di questo amore del quale solo Dio è garanzia e di cui il nostro amore è un riflesso. Provvidenziale anche considerando il ritorno dei ragazzi nella loro vita, quella dall’altra parte del mondo e dove sono chiamati a dare frutto. Ceniamo in seguito alla messa e poi c’è solo l’attesa per la partenza, prefissata alle 4:30 del mattino, orario spettacolare e un invito a fare “after” come dicono i ragazzi.

Così finisce un altro viaggio di missioni, i ragazzi tornano a casa, spero più ricchi di ciò che veramente conta nella vita. Un altro gruppo di ragazzi invece prosegue l’avventura verso la città di Medellín, in Colombia. 

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La sveglia delle 7:30, dopo più di 15 giorni di sveglia alle 6:30, è quanto meno magica. Preghiamo alle 8 e facciamo mangiamo più o meno in fretta. Un piccolo gruppo di 4 persone parte prima per prendere delle lamiere e dei materassi per le famiglie. Ci rincontriamo tutti quanti nella baraccopoli verso le 9:30, e tutti vanno nelle proprie case per finire i dettagli. Casa per casa facciamo un controllo, ritoccare qualche pezzo con la vernice, tagliare qualche pezzo del telo che va tra le travi e le lamiere, piegare qualche chiodo, sistemare qualche porta e finire di mettere pomelli e altri piccoli dettagli. 

Davanti a una delle case ce una piccola spianata, che allestiamo per la messa. Alle 11:30 ci riuniamo tutti quanti, volontari italiani, famiglie a cui è stata costruita la casa e anche tante altre famiglie della baraccopoli, e tra di loro ci sono sia chi ha già ricevuto una casa negli anni scorsi sia chi resta ancora in attesa. Ho segnato qualche nome, e visitato personalmente le condizioni attuali di tante famiglie. Spero di riuscire a dare loro una casa con il gruppo di adulti, se ci sarà come l’anno in corso una risposta positiva da parte loro, che dovrebbe partire ad aprile del 2020. La messa si fa in due lingue, così da coinvolgere tutti quanti. Anche i canti sono bilingui e soprattutto l’omelia. L’omelia si concentra sul nostro moto: Ce più gioia nel dare che nel ricevere, e molti dei ragazzi vengono a sapere che non si tratta di qualche bella frase inventata da me, ma che è una frase tratta fuori dalla bibbia, precisamente da una delle lettere di san Paolo. E questa va rivolta sia alle persone del posto che ai volontari italiani, visto che ognuno, a partire dalla propria condizione, si è ritrovato a viverla in questi giorni. Sento molto la messa, il contesto, la situazione in cui stiamo, quanto abbiamo fatto, la differenza abissale su certi versi tra le persone che partecipano, da una parte gente poverissima, che non ha veramente niente e per cui la giornata successiva è un’incognita sotto tanti punti di vista, dall’altra ragazzi che hanno tutto, non solo il necessario ma anche tante cose non dico superflue, tante sicuramente arricchiscono la propria umanità e anima, ma tante altre credo le impoveriscono. Ragazzi che sono buoni come il pane, e che in una situazione come questa si trovano a vivere con una libertà e spensieratezza che invidieranno quando saranno di ritorno alle loro città, che sono in fin dei conti i posti dove sono chiamati a crescere e dare frutto. È tutto un gruppo di gente così diversa tra di loro ma così simile, simile nei desideri di essere abbracciati, di essere tirati fuori dall’invisibilità, da sentirsi dire che sono amati e apprezzati, che vanno bene così come sono, senza rinunciare a migliorarsi, ma che ciò non costituisce un giudizio sulla loro persona e neanche una condanna a non essere amati. Tutti quanti desiderosi di libertà, ma la libertà del cuore, di poter amare a partire dalla propria identità senza vergognarsi di ciò che ci manca e amando e abbracciando quanto di originale abbiamo. Così diversi nelle nostre fortune o sfortune, e così vicini nei desideri più autentici dei cuori. 

Finita la messa il padre ha la “fantastica” idea di chiamarmi in causa e rivolgere qualche parola. Da qualche anno non riesco a gestire le emozioni, per quanto sia un bene o un male gestirle, e prima di iniziare a parlare arriva un pianto. Ringrazio per quanto abbiamo ricevuto in questi giorni, e per l’opportunità che ci danno ogni anno di renderci disponibili e di trasformare l’amore in qualcosa di concreto. Ringrazio per le attenzioni, frutto dei sacrifici di queste famiglia. E chiedo di vivere quello stesso amore tra di loro tutto il resto dell’anno. Alla fine, è facile vivere l’accoglienza e il servizio nel confronto dello straniero, comodo direi, perché comunque dura poco nel nostro caso, che siamo qua con loro tre settimane all’anno. E significa uno sforzo reale ma ristretto nel tempo. Invece vivere l’amore nel quotidiano, con chi ti sta accanto ogni giorno, e a cui devi accettare così come è, con tutte le cose che non ti vanno a genio, e imparando a perdonare, è esigente, ma è un amore più vero, perché non suppone la “perfezione” dell’altro, suppone che tu stesso rinunci a gestire tutto e tutti, accogli la realtà, o le realtà, e le ami per ciò che sono senza pretendere di accomodarle a tuo compiacimento. In fondo è come quanto ci capita in famiglia, che siamo sempre, o quasi, più bravi fuori casa di quanto riusciamo dentro casa… in fondo vivere l’amore in modo costante è una sfida che implica la “morte” a sé stessi, e questo atto quasi innaturale mi risulta impossibile se prima uno non trova e si nutre di una fonte inesauribile di amore, che per prima cosa ci libera dall’anonimato, ci riconosce nella nostra unicità e ci dice che andiamo bene così, non in modo arreso, ma che siamo belli, buoni e veri così come siamo…

Andiamo casa per casa a farle benedire, alle parole delle famiglie segue un lungo abbraccio di gruppo e poi la classica foto tutti insieme. Finiamo verso le 14 e mangiamo insieme a loro. Ci hanno cucinato, previa coordinazione con me e il medico di turno, un squisito riso e pollo (strano vero?!), e poi i classici quanto amati picarones. Si torna a casa verso le 16:30. Nonostante abbia fatto una chiamata al riposo pomeridiano (siamo molto stanchi) i ragazzi trovano le forze per organizzare un mini torneo di calciotto. Il prossimo appuntamento è alle 18:30, ci rincontriamo nell’auditorio per ascoltare l’ultima conferenza o catechesi del viaggio, e la tiene Juan Fernando. È sulla vita cristiana. Finita la catechesi i ragazzi rispondono all’ultima riflessione personale disperdendosi nei diversi posti dell’albergo. Mangiamo alle 20 e alle 21 ci riuniamo per fare le riflessioni nei gruppi. A cosa ci serve la fede? Non è una spiegazione razionale quella che ho in mente dinanzi a questa domanda che esce nei gruppi. Posso solo rispondere con un esempio… oggi mentre lasciavo la baraccopoli mi comunicano che è morto il papà di un ragazzo più o meno della mia età. Insistono sul fatto che io deva passare a fare una preghiera in casa, dove si trova il corpo. Piangono tutti, mi avvicino al defunto e faccio una preghiera in silenzio, poi abbraccio il figlio, che piange a singhiozzo mentre da da mangiare il suo piccolo figlio. Poi mi rivolgo alla moglie, con chi ha passato più di 50 anni di vita insieme affrontando la povertà estrema. Lei piange, e l’unica cosa che riesco a dire è che il suo marito ora sta in cielo, veglia su di lei e la aspetta. È stato strano, magico direi, le si illumina il volto, le scappa un sorriso, gli occhi lucidi mi guardano e mi dice: “si, mi sta aspettando e nel frattempo si prende cura di me”… ecco la fede è questo, questa speranza, questa carità, è questa potenza in grado di donare serenità e pace al cuore che passa per momenti di sofferenza e forse di abbandono. È questa forza che trasforma la realtà, non quella esterna, ma quella interna, quella del modo in cui viviamo gli avvenimenti della vita. Per quanto mi riguarda, una vita di fede è solo la garanzia di una vita veramente ricca, di una vita autenticante serena. 

I dialoghi durano fino alle 23, e magicamente vanno tutti a dormire. E questo nonostante abbia dichiarato che il lunedì mattina la sveglia sarebbe stata libera… quindi i ragazzi più che altro hanno scelto di approfittare al massimo le ore di sonno. 

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La giornata inizia come sempre, alle 6:30, anche se per come vanno i lavori avremo potuto dormire qualche ora in più e in un certo senso non avrebbe cambiato molto, tranne il fatto di ritrovarci più riposati. Arriviamo fiduciosi, verso le 9:30, nel nostro campo di lavoro e iniziamo a darci da fare. L’obbiettivo è finire le case, cioè nella sua totalità, per le 16, in modo di aver tempo per andare nel supermercato prima di tornare a casa e prendere un po di cose necessarie per le famiglie. Quando uno pensa di essere già arrivato, in questo caso la consapevolezza di essere avanti con le case, uno perde un po di spinta, di tensione per il da fare, e si lascia andare. E infatti la giornata di sabato passa un po così, con poca grinta, come chi pensa di essere già oltre, trascurando qualche dettaglio e andando molto piano. Che sia chiaro poi che fare le cose bene non significa farle piano, ce sicuramente un equilibrio, ma a volte farle piano è sinonimo di trascuratezza o di poca voglia e così si finisce per fare male o a metà le cose. E questo è ciò un po che succede con alcuni gruppi. Ci si prende con comodo la situazione, nei propri ritmi o tempi, e arrivano le 4 e notiamo che quanto è stato concluso ha tante deficienze, a cominciare dalla pittura e dettagli delle finestre o dei chiodi. Per carità, son cose talmente piccole e risolvibili che sarebbe bastato un occhio attento a gruppo in modo di evidenziarle e distribuire il lavoro in modo di lasciare una casa finita fino ai suoi minimi dettagli. Sarebbe bastato insomma non credersi già arrivati. 

Partiamo comunque alle 16 verso il supermercato, e qua è come se la grinta si riaccendesse. Nei diversi gruppi i ragazzi hanno chiesto in giro quanto serve alle famiglie, hanno fatto un po di calcoli, ormai arrivati a fine viaggio per molti di loro non è scontato avere le risorse da parte. Ce chi “alza” i soldi, come dicono loro, o qualche generoso che è in grado di mettere più degli altri. E li vedo in giro per il supermercato prendendo di tutto, da cose basilari per mangiare a coperte o giochi per i bambini, e anche qualche “folle” che prende materassi. È praticamente una festa della generosità. Alle 18 circa siamo di ritorno a casa e siccome faremo la messa domenica mattina nella baraccopoli decidiamo che la messa di oggi sia solo per chi vuole, e in seguito l’adorazione, quella si per tutti. Ceniamo insieme e poi facciamo una riunione per comunicare decisioni riguardo la domenica, giorno delle benedizioni, e lunedì, giorno “libero” vista la velocità con cui sono state tirate su le case. Invitiamo i ragazzi a riposarsi, e comunichiamo anche che la sveglia domenica sarà un’ora dopo il consueto orario, ovvero le 7:30, e i ragazzi esultano di gioia, mentre qualcuno dice sotto voce, ma guarda come siamo messi che ci emozioniamo per una sveglia alle 7:30!

Finita la riunione molti vanno a letto, altri restano svegli chiacchierando o giocando alle carte. 

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Si torna agli orari del primo gruppo, quando fare le catechesi o conferenze, chiamiamole come più ci piaccia, non potevano essere fatte la sera considerando la stanchezza dei ragazzi, che rischierebbero di prendere un torcicollo nello sforzo di rimanere sveglie e quindi di non lasciare cadere la propria testa. La sveglia rimane alle 6:30 e come sempre si prega alle 7. Dopo aver mangiato ci riuniamo in auditorio per ascoltare Dani, che approfondisce ciò che è l’amore, da un punto di vista biblico, e la cui esercitazione dovrebbe portare nella vita di ogni giorno all’unità tra bellezza, verità e bontà. Solo un amore vero, cioè disinteressato e di conseguenza gratuito, un amore paziente, che rimane, che è eterno, cioè infinito, è in grado di ridarci la serenità e pace interiore che cerchiamo. Purtroppo viviamo nel quotidiano con tante caricature dell’amore, riducendolo a solo piacere o portandolo alla “malattia” del possesso. Un invito anche a tener conto che amare ci rende vulnerabili, che quando amiamo apriamo il nostro cuore, il nostro io mostrandolo per quello che è, e consegniamo all’altro la possibilità di ferirci. Un ricordo anche di quanto detto in Ecuador, cioè che in fin dei conti, partendo dalla nostra libertà, possiamo solo scegliere chi, come e quando amiamo, ma non potremo mai decidere chi, come e quando ci amano. Ci sono tanti elementi in gioco, è una realtà molto delicata, e per ora rimane una provocazione alla riflessione, riflessione che prenderà forma in circoli più piccoli, dicendoci per età e per sesso nei gruppi serali.

Partiamo verso il lavoro alle 9:30, facciamo una breve preghiera per incominciare la giornata e ogni gruppo va nei propri spazi di lavoro. Sulla giornata di lavoro non ce tantissimo da dire. Posso solo ripetere quanto detto ieri, i ragazzi vanno fortissimo, si divertono, ridono, ce un ambiente bellissimo di lavoro. Ovviamente ci sono momenti di nervosismo, in alcuni casi anche di scoraggiamento. Inevitabilmente si cade anche nelle gare per vedere chi finisce per primo, molto meno degli anni scorsi, visto che in generale non si corre, ma si fanno bene le cose. Ci ritroviamo alle 13 per pregare il rosario e anche questo è un momento di pace in mezzo alla vivacità dei bambini che ci circondano pian piano che tornano da scuola. Alcuni sanno pregare i vari Ave Maria e Padri Nostri, altri no, qualcuno prende in mano il crocefisso del mio rosario e mi chiede chi è e perché è inchiodato. Ad un bambino basta una sola risposta: È Dio che per amore tuo ha dato la sua vita. Preghiamo ancora prima di mangiare, oggi ce l’orzo, i “salutisti” (principalmente ragazze) saltano di gioia, i divoratori, cioè praticamente tutti i maschi, mi guardano malissimo. Ho deciso che dall’anno prossimo il menù lo faccio fare a loro! Riprendiamo i lavori verso le 14:30 e andiamo avanti fino alle 16:30, quando ci rincontriamo tutti nuovamente nel parco giochi per mangiare quantità infinite di picarones, che le famiglie del posto preparano con tanto affetto e dedizione per noi. Dal punto di vista pratico, cioè del lavoro fisico, la giornata presenta degli ottimi risultati. Ce una cosa totalmente finita, a cui manca solo la vernice, e altre due a cui mancano solo le finestre. 10 case stanno finendo il tetto, hanno già messo i pomelli e i dettagli, e quindi oltre la vernice mancano le finestre, che non sono particolarmente difficili da mettere. Infine, una sola casa è abbastanza indietro, in loro difesa ce da dire che il loro terreno era particolarmente instabile, ma è anche la squadra che si diverte di più, vista la simpatia dei membri ma specialmente e fondamentale dalla presenza del unico genovese del gruppo, che ci fa divertire a tutti con le sue uscite. Un risultato tutto sommato da record, e già inizio a pensare a come distribuire i giorni di lavoro che abbiamo davanti a noi. Dovremo dare un giorno, massimo giorno e mezzo a finire le case, poi mezza giornata per benedire e i vari festeggiamenti. È molto probabile che ci ritroveremo con una giornata libera, e già penso a come sfruttarla al meglio. Anche se i ragazzi meriterebbero di far insieme una gita, credo che impiegheremo meglio il nostro tempo, e le nostre risorse, a portare i bambini in un parco giochi qua vicino. Questa proposta, portata a termine con un gruppo due anni fa e con il gruppo degli adulti nel mese di aprile, si è rivelata vincente da ogni punto di vista nel passato, quindi sono certo che lo sarà anche nel futuro… 

Si torna a casa, con il tempo adeguato per lavarsi e stare un po insieme. Alle 19 iniziamo con la messa e poi l’adorazione. Il Vangelo riprende una delle versioni della parabola del seminatore, e questa volta si sofferma nei diversi tipi di terreno che sono i nostri cuori. Inevitabilmente sorge la domanda su cosa abita il nostro cuore, e se ciò che lo abita lo rende un terreno fertile all’amore che quest’esperienza sta versando in essi. Saremo di quelli che vivono tutto superficialmente, e di conseguenza il seme non può tirare fuori le sue radici senza che esse muoiano? O saremo di quelli che rimaniamo in un entusiasmo superficiale, che ingenuamente pensiamo che la sfida dell’amore è qualcosa di semplice o che ha poco di esigente, o che in amore si possa vivere di rendita, e che quindi alla prima difficoltà, o vittime della cultura di morte dominante nel nostro occidente, il seme muore perché alle radici non arriva l’acqua pura, la luce e la terra non è fertile? O saremo di quelli che prendiamo in mano la serietà della sfida, una sfida di vita o morte perché senza amore nella nostra vita non esiste felicità, non esiste pace interiore, non esiste serenità, non esiste pienitudine di vita, ma solo idoli e brutte copie di ciò che siamo chiamati a essere e a fare. E quindi saremo forse di quelli che prendono in mano la situazione e diventano consapevoli che l’amore si costruisce di giorni in giorni, in piccoli gesti, nelle scelte quotidiane per renderci sempre più capaci non solo di amare, ma di accogliere a quanti ci amano?

Dopo mangiato ci riuniamo in auditorio, facciamo il resoconto della situazione, o della “situa” come dicono i milanesi, e ci distribuiamo in sei gruppi, ad ogni gruppo viene assegnato un consacrato, e dialoghi vanno avanti fino alle 22:30 i più veloci, e fino alle 23 e passa quelli più coinvolti. 

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Nonostante la stanchezza del giorno precedente la sveglia delle 6:30 non è così traumatica ormai, i ragazzi si sono abituati e chi non lo è ha il jetlag.  Preghiamo come sempre alle 7, prima colazione e via, alle 8:15 iniziamo a smuoverli per salire sui pullman. Contiamo che siamo tutti (abbiamo tre caduti… cioè malati, e non potranno venire con noi… in realtà ne avevamo due, ma uno deve tornare verso metà mattinata visto che non ce la fa proprio a lavorare).

Arrivati nella baraccopoli ci riuniamo tutti nel parco giochi, facciamo una preghiera per iniziare i nostri lavori e ogni squadra si rivolge alla casa che ha scelto per costruire per prima. Devo dire, che tranne un gruppo che va in tilt per una sottile trascuratezza (lo scrivo così per fare il carino, hanno praticamente costruito la casa al rovescio e quando hanno dovuto mettere le mura si sono accorti che le cose non quadravano…), tutti i gruppi vanno fortissimo. Credo che la riunione della notte precedente sia stata fondamentale (tranne che per quel gruppo, visto che su quello ero stato molto, ma molto esplicito, visto che nel primo gruppo, di inizio luglio, già un ragazzo con alle spalle 5 anni di missioni aveva fatto lo stesso errore). Si va con calma, si fanno con molta pazienza le fondamenta, alcuni sono molto millimetrici… in fin dei conti ci ritroviamo con 2 case totalmente finite (cioè mancano finestre, verniciare e i dettagli) 4 case con il tetto avviato, una casa con la struttura del tetto pronta, e 7 case con qualche pavimento già messo. Un vero record. Ricordo che la notte prima di costruire, o il giorno stesso, ho portato come esempio l’esperienza di costruzione con i genitori, che in condizioni peggiori dal punto di vista climatico (siamo stati ad aprile e c’era un sole che bruciava tutto!) erano riusciti a finire con due giorni di anticipo… Il segreto: lavoro di squadra, distribuire bene i compiti e non avere tempi morti… il che non vuol non concedersi le pause per la frutta e l’acqua… frutta e acqua che ci vengono offerti dalle famiglie… vuol semplicemente dire non perdere il tempo. Ripeto, i ragazzi vanno fortissimo, e sono già preoccupato a come occuparci se finiamo con troppo anticipo… secondo i miei calcoli dovevamo finire lunedì mattina e poi fare le benedizioni… probabilmente, a questo ritmo, le case saranno finite per sabato sera, qualcuno verso domenica mattina, quindi dovrò occupare la domenica pomeriggio con qualcosa… Credo che portare i bambini della favela in gita sarebbe una bella scelta per quel pomeriggio, poi fare le benedizioni il lunedì presto, e chiudere con un pomeriggio in spiaggia, per goderci uno dei tramonti che già da oggi Cañete ci sta offrendo. 

Prima della pausa per mangiare preghiamo il rosario, questa volta nel parco giochi che abbiamo costruito l’anno scorso. Lo preghiamo insieme ai bambini, e subito dopo mangiamo. Ci rimettiamo al lavoro fino alle 16:30, quando ci rincontriamo nuovamente tutti quanti nel parco giochi, questa volta per assaggiare dei favolosi picarones (una sorta di dolce fritto fatto con la zucca e bagnato in miele di canna) offerti dalle famiglie. Qualcuno è riuscito a mangiare cinque piatti! Credo sia importante ricordare che sono tutte bontà che sono manifestazione della gratitudine delle famiglie, e che non sono per niente scontate… parliamo sempre di famiglie che non riescono a completare tre pasti al giorno… darci del acqua, frutta, avocado e picarones, non è assolutamente scontato, e neanche dovuto se dobbiamo dirla tutta. 

Torniamo a casa molto stanchi, sporchissimi, ma credo che tutti con una serenità e soddisfazione che raramente si riesce a provare a casa. Si tratta di una stanchezza felice, e questo è già un premio, una raccolta a quanto abbiamo seminato. Spostiamo la messa di mezz’ora, quindi alle 19:30, e poi l’adorazione. Nell’omelia di oggi, padre Gonzalo ci ricorda di una realtà che è fondamentale nel vissuto totale di questo viaggio. Non siamo qua solo per costruire, senza togliere l’importanza quanto doneremo a loro dal punto di vista materiale. La realtà della sofferenza umana, trascende infinitamente le “sole” sofferenze fisiche o materiali. Non che queste siano di poco conto, o da trascurare… dare dell’essenziale è fondamentale per la dignità di chi deve vivere da umano e così poter crescere una famiglia in un ambiente sano e sicuro, quanto meno dal punto di vista materiale. Ma la vera sofferenza risiede, credo io, nell’esperienza estrema dell’abbandono, del essere dimenticati, di essere soggetti a sofferenze interiori, e tra queste ci saranno sia quelle psicologiche ma anche quelle spirituali, ed è soprattutto quelle ultime che vengono guarite solo da un amore pieno e vero, cioè autentico. Non siamo qua quindi solo per costruire e donare qualcosa di molto desiderato… e di quanto sono desiderate queste casette ci rendiamo conto giorno per giorno… Dobbiamo donare noi stessi, il nostro tempo però con amore, un sorriso, un abbraccio, con la libertà di poter smettere di martellare per qualche minuto per rivolgere o scambiare qualche parola con le famiglie, per dargli un abbraccio, qualche parola di conforto, per ascoltarli e se possibile venirli incontro anche lì dove si vergognano di mostrarsi fragili o bisognosi. Perché per chiunque, anche per chi non ha niente, il chiedere, il riconoscersi bisognosi, non è per niente facile o scontato. Ci sono in noi delle realtà spirituali, con le proprie ferite, a cui solo l’amore può portare consolazione, e ci piaccia o no, e anche se non lo abbiamo scelto, noi per loro siamo un po’ quell’amore mancato, di quel interesse che non arriva mai… ci hanno persino chiamato degli angeli. Guai a noi di non fare di tutto per essere all’altezza, guai a noi se nel donare queste casette trascuriamo l’importanza dei rapporti umani, tra di noi e con loro.

Iniziamo a mangiare verso le 20:50… dovevamo fare un briefing tutti quanti per il punto della situazione sul lavoro, ma siamo veramente troppo stanchi, e io un po malato… quindi niente, mangiamo e piano piano andiamo a dormire. “Purtroppo” le chiacchiere tra amici hanno la meglio e in molti rimaniamo fino a tardi, cioè tardi qua vuol dire dopo le 23… 

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Torniamo al lavoro dopo due giorni di pausa. Anche se dobbiamo dire che in realtà la vera pausa è stata di un giorno. Lunedì 23 siamo partiti all’inizio del giorno, alle 00:00, in pullman da Canoa verso Guayaquil, dove alle 8 abbiamo preso il nostro volo verso la città di Lima. Dopo due ore di volo siamo atterrati a Lima, la grigia, e dopo altre 5 ore, tra migrazioni, ritiro di bagagli e viaggio fino a 140 km al sud della città, dovendola prima attraversare (e attraversare Lima può significare varie ore incastrati nel traffico), siamo finalmente arrivati a Cañete. Invece il martedì 24, con l’arrivo di altri 13 ragazzi tra la sera prima e la mattina presto, siamo andati in gita ancora più al sud, nella città di Paracas, per fare un giro nel deserto, fare un po di sandboard, e fare un tufo rigenerante nell’acque freddissime di un’oasi. Eravamo di ritorno a casa verso le 19, qualche riunione di introduzione con i neo arrivati, e subito a nana visto che da oggi abbiamo ripreso con la traumatica sveglia delle 6:30. 

Riprendiamo anche la preghiera del mattino, ore 7, e subito dopo la prima colazione. Siamo in una zona del Perù in cui l’avocado cresce praticamente nell’aria, quindi è particolarmente economico, e ovviamente buono. Ce lo ritroviamo non soltanto nella prima colazione, ma anche in ogni insalata possibile, per la gioia di tutti devo dire. Alle 8 ci raduniamo nell’auditorio, dove riprendiamo un po il nostro cammino, per chi sta qua già da dieci giorni, e cominciamo uno nuovo per chi è appena arrivato e che tra l’altro ancora non si riprende dal fuso orario. Questo alla fine è buono, la sveglia delle 6:30 non è così traumatica alla fine. In tutto sono arrivati 15 ragazzi dai 20 anni in su (che sono quelli che, una volta partito il gruppo del Ecuador, partiranno verso Medellín in Colombia). 

Insisto sulla figura del seminato e il raccolto, che quanto seminiamo in vita sarà quello che raccoglieremo, non sappiamo bene quando ne dove, ma così sarà. Quindi un invito a tutti quanti a seminare generosità, amore, disponibilità, spirito di sacrificio, ma anche cose più piccole del quotidiano come il modo che abbiamo di esprimerci, il riconoscere agli altri i pregi, o la capacità di sorridere dinanzi ad ogni situazione, anche quelle più difficili o in cui non tutto proprio ci va bene. Un invito anche a fare uno sforzo per integrarci tra noi, che siamo così diversi in età, ma nel fondo così simili nelle nostre aspettative e desideri più profondi. A imparare uno dall’altro, trascendendo ciò che dell’altro non ci piace o ci è semplicemente scomodo (e tante volte il problema non sono gli altri ma noi stessi…), e lavorare insieme per il nostro obbiettivo comune, donare qualcosa di bello che solo lontanamente riusciamo a capire l’importanza, non tanto come azione in sé ma come esperienza di dono per le famiglie a cui costruiremo le case. Per quanto insignificanti ai nostri occhi, o piccole, o scomode, le casette che costruiremo in questi giorni, che sono 14, sono qualcosa di veramente aspettato e desiderato da queste famiglie che vivono in situazioni che probabilmente nessuno di noi reggerebbe per più di una notte (qualche volta mi è venuto il dubbio se non arricchirebbe di più l’esperienza, e soprattutto la consapevolezza di quanto facciamo, la possibilità di passare una notte vivendo come loro…). Questo lo si capisce quando in tutti questi giorni le persone che ti cercano per avere una casa superano la cinquantina. Ognuna di loro con una storia difficile alle spalle, e forse la cosa peggiore, con bassissime o nulle prospettive di miglioramento… Lo si capisce quando arrivati nella baraccopoli, una a una le famiglie si presentano, ringraziando, raccontando come vivono, e dirompendo in pianto non poche volte… un pianto che ci lascia muti, e ci fa scappare qualche lacrima, per emozione, per empatia, perché ci scontriamo così direttamente contro una realtà che è più grande del nostro comodo divano a casa e le nostre comode e sicure abitudini di ogni giorno. Noi ragazzi ci disponiamo in sette colonne, che sono i sette gruppi di lavoro per questa settimana. I capo squadra, tutti tranne una, sono ragazzi che sono alla loro seconda o terza esperienza di missioni con noi, e non sono nessuno dei ragazzi appena arrivati. Ogni squadra è formata da 7 membri del nostro gruppo, e dovrà costruire 2 case. Una a una le famiglie scelgono il gruppo di ragazzi che farà la loro casa. In seguito dedichiamo un’oretta circa a visitare le case o terreni dove verranno costruite le nuove casette. L’esperienza per i ragazzi diventa più dura ancora. Anche per chi è già venuto più di una volta. Niente di quanto si vede sembra vero, meno ancora giusto. Ma la realtà è questa, e a noi è concessa, in una piccola parte, la possibilità di trasformarla, non soltanto con quanto di materiale potremo fare, ma con la nostra testimonianza di amore, che è alla fine quello che più rimane alle famiglie…

Verso le 11:00 iniziamo con lo scarico dei tre camion arrivati poco prima di noi. I ragazzi dello staff, quelli più vecchi e che sono venuti con noi per la prima volta nel 2012, organizzano milimetricamente sia lo scarico dei camion che la distribuzione dei materiali. Lo fanno in modo ordinato ma soprattutto efficiente, in modo di approfittare al massimo i tre punti di scarico e le più di 50 “operai” a loro disposizione. Gioca a nostro favore una baraccopoli fondamentalmente piatta e abbastanza piccola, quindi distiamo poco uno dall’altro e ci aiutiamo tutti a vicenda, soprattutto per portare i pavimenti, che pesano veramente tanto. Per 13:20 circa abbiamo finito di scaricare i moduli delle 14 case e abbiamo già portato tutti i pavimenti nei rispettivi terreni. Ci raggruppiamo in un incrocio e preghiamo il rosario, e a noi si aggiungono alcuni degli adulti che lo pregano in contemporanea però in spagnolo. Mentre preghiamo piano piano ci circondiamo di bambini, che arrivano sempre più numerosi dalla scuola. Alcuni stanno buoni e calmi, altri saltellano di qua e di là… molti ci riconoscono, visto che in questa baraccopoli lavoriamo dal 2016… praticamente ogni anno abbiamo visto quanto sono cresciuti di volta in volta. Gli abbracci e i sorrisi, la vicinanza e l’affetto, sono parte della “raccolta”, di quanto abbiamo seminato in questi anni. Uno però semina, o dovrebbe farlo, in modo disinteressato, il raccolto arriva quando meno te lo aspetti e non necessariamente nei modi come lo aspetti… è un po’ come l’essere amati e l’amare, alla fine possiamo scegliere solo chi amare e come amarlo, non possiamo invece scegliere da chi siamo amati ne come siamo amati…

Dopo mangiato, pollo e riso, riprendiamo il lavoro, e ci concentriamo nel portare il resto dei materiali nei suoi rispettivi terreni. Finiamo verso le 16:50, e ci eravamo proposti di farlo alle 17, per cui posso dire che da questo punto di vista il risultato è stato fantastico. I ragazzi, soprattutto i neo arrivati, sono veramente stanchi, li fa male tutto, non sono abituati, mentre i ragazzi che stanno con noi già da qualche giorno non danno segni di cedimento. Bisogna dire che le giornate di scarico sono quelle più toste, il resto sarà un lavoro di precisione e di costanza ordinata. Si torna a casa stanchi e felici, e abbiamo un po di tempo per lavarci, qualcuno riposa anche mentre quelli più “vecchi” si organizzano un mini aperitivo. Alle 19 ci ritroviamo tutti in “capella”, che è il nostro auditorio allestito degnamente per celebrare l’Eucarestia. Il Vangelo di oggi è provvidenziale, come se ci fossimo messi d’accordo… che sorpresa la mia quando inizia il racconto del seminatore e del seme, del seminatore che è Dio che semina di continuo nei nostri cuori in attesa di trovare, rispettando sempre la nostra libertà e i nostri tempi, un terreno adeguato affinché il seme possa morire e possa di conseguenza dare frutto. Un invito anche a chiedersi che tipo di terreno è il proprio cuore, se troppo superficiale, se troppo ferito e quindi con le difese altissime, al punto di non credersi capaci di essere amati, se troppo cinico, forse anche questo conseguenza delle ferite… alla fine, credo, più che una difficoltà ad amare, esiste prima di tutto una grossa difficoltà a scoprirci amati, o prima ancora, a credere che, nonostante tutto e a prescindere di tutto, siamo amabili, ma veramente amabili. Se così non fosse, non ci sarebbe speranza di riscatto ne di pace interiore per nessuno. Dopo la messa abbiamo mezz’ora di adorazione e subito dopo mangiamo.

Finito di mangiare, i ragazzi sono liberi di andare a dormire, molti lo fanno, alcuni pochi no. Lo staff si riunisce verso le 21 per organizzare le prossime giornate. Ultima riunione del giorno invece è quella tenuta dai caposquadra con me, per insistere su alcuni aspetti e trucchetti per fare venire su le case il meglio possibile. 

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Per prima volta in 8 giorni di missioni, ci svegliamo alle 8.30, il che è molto apprezzato dai ragazzi, apprezzatissimo direi. Facciamo la nostra preghiera del mattino e facciamo una prima colazione da campioni, verso le 9:15 e poi i diversi gruppi di ragazzi partono nel centro del paese per fare un po di spesa per le famiglie. Alle 12 ci raggruppiamo nella parrocchia, dove siamo stati invitati dal parrocco a mangiare. Mangiamo, devo dire con poco entusiasmo vista la prima colazione fatta poche ore prima e così abbondante… Quando finiamo ci organizziamo per iniziare a fare il giro delle benedizioni delle case.

Partiamo in due sorta di piccoli camioncini che ci portano tutti. Il giro è abbastanza semplice in un certo senso, ma molto lungo vista la distanza tra le case. Non abbiamo lavorato negli stessi quartieri, il nostro lavoro è arrivato in 4 quartieri diversi, e ce uno che è molto ma molto distante. La benedizione delle case ha una struttura uguale e diversa in ogni casa. Uguale nel senso che si inizia con una preghiera, delle belle parole di padre Gonzalo, qualche parola da parte di uno dei ragazzi che ha costruito la casa, il ringraziamento della famiglia, poi l’acqua benedetta su ogni spazio della casa, un caldo abbraccio di gruppo, e poi una bella foto di gruppo sulle scale. 

Allo stesso tempo ogni benedizione è diversa. Le parole di padre Gonzalo cambiano di volta in volta, trattando di rivolgersi in maniera unica e personale alla famiglia di turno. Poi le parole di tutte le famiglie sono molto sentite, alcune non riescono a finire una o due frasi perché l’emozione è più forte e piangono… alcuni al punto di non poter più parlare. Forse è il momento più chiaro in cui i ragazzi toccano con ogni senso l’importanza di quanto hanno fatto, di quanto grande era la loro situazione di bisogno, non soltanto a un livello fisico pratico ma soprattutto a un livello più interiore. La certezza di un tetto, di un pavimento, di qualche mura, di spazi adeguati per tutti, sono una serenità che noi diamo per scontato, perché a noi non soltanto non hanno mai mancato, ma ne abbiamo avuto in abbondanza. Ovviamente l’esperienza delle famiglie contagia tanti dei ragazzi, che provano tante emozioni, tanta fierezza, tanta serenità, alcuni piangono tantissimo, altre sorridono e il loro viso sembra non bastare a contenerlo (il sorriso), altri guardano con serietà ma con una calma negli occhi che incuriosisci… è proprio vero che gli occhi sono le finestre dell’anima. 

Si torna a casa dopo un lungo giro di 4 ore, da un quartiere ad altro. I ragazzi si fiondano nel mare senza risparmiare nulla delle energie rimaste, si gioca in acqua, si gioca a calcio sulla sabbia mentre alcune ragazze fanno anche loro il bagno e altre iniziano con la valigia. Ho scoperto che per i ragazzi, senza fare distinzione tra maschi e femmine, il rifare la valigia è un discorso delicato. Alcuni persino mi chiedono qualche ora di tempo per poter farla senza stress… io mi faccio due domande, visto che l’ho fatta la mattina in dieci minuti, separando nelle diverse tasche dello zaino quanto è pulito e quanto è sporco. Alle 18 ci rincontriamo tutti quanti per fare l’ultimo rosario dinanzi al mare, il cielo è scoperto e quindi ci dona un tramonto spettacolare, o “clamo”, cioè clamoroso, nelle parole di qualche ragazza milanese. Mi incuriosisce molto come un comune denominatore per quasi tutti i ragazzi: la tranquillità che esperimentano nel pregare il rosario, durante e dopo. Dicono che la preghiera del rosario vada al ritmo dei battiti del cuore, e che questa armonia provochi questa pace e serenità che ognuno di noi riesce a percepire. È curioso come dei ragazzi così giovani e che nel quotidiano sono molto lontani da avere momenti di silenzio, riescano a pregare un intero rosario senza provare ansia alcuna…

Alle 19:30 partecipiamo della messa del paese. Una delle ragazze dà una bellissima testimonianza in spagnolo, risaltando il moto delle nostre missioni che portiamo nelle nostre magliette: C’è più gioia nel dare che nel ricevere. Finita la messa e salutati tutti quanti, attraversiamo la strada per una cena a base di hamburger e di carne, e patatine fritte in abbondanza. I ragazzi hanno il mio permesso per prendere una birra, o due, e qualcuno prende anche un calice di vino. Torniamo a casa felici, finiamo di fare le valigie, e alle 23:30 iniziamo a caricare con le nostre valigie il pullman che ci porterà fino all’aeroporto di Guayaquil. Il viaggio dovrebbe durare 5 ore, e partendo a mezzanotte alla fine siamo stati in aeroporto alle 4:30… menomale era aperto e anche i banchi per il check in, quindi abbiamo fatto tutto in fretta, salutato Benji, consacrato che torna in Italia per poi partire per le Filippine a fine mese in un altro viaggio di missioni e a cui siamo debitori di aver arricchito con la sua voce e i suoi canti i nostri momenti di preghiera… ci mancherà. 

Ci aspetta un volo di due ore fino a Lima, e poi tre ore di pullman fino a Cañete. Sto parlando già del lunedì, giorno di “riposo”…

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Riconosco che mi è un po’ noioso raccontare ogni inizio di giornata allo stesso modo… e la verità è che non ci sono più di tanti modi diversi per iniziarla. Dopo la solita routine, bisogna dire spirituale, ogni gruppo si avvia verso le zone di lavoro. Il progresso di ieri ha fatto possibile che torniamo a casa subito dopo mangiato. Oggi è il compleanno di uno dei figli di una delle signore per le quali abbiamo costruito queste seconde quattro case, quindi il gruppo li organizza una festa. Inutile cercare di descrivere a parole la gioia del bambino. È molto colpito dal fatto che qualcuno gli abbia comprato una torta, è infatti qualcosa di straordinario, qualcosa che non accade praticamente mai, viste le condizioni di vita in cui si trovano. 

Siamo di ritorno a casa verso le 14, dopo aver finito di costruire le 4 case. I ragazzi organizzano una partita di calcio sulla spiaggia, mentre le ragazze preferiscono i giochi di carte. Alle 18 ci rincontriamo tutti davanti al mare per pregare il rosario, e in seguito i ragazzi assistono alla terza conferenza e ai gruppi di riflessione. Così come nel primo gruppo, la terza conferenza la tengo io, e mi viene affidata la spiegazione degli idoli. Molto di questa tematica si gioca nel cuore di ognuno, per cui preferisco affidare il filo conduttore alla domanda principale: qual è il tuo tesoro? dove sta il tuo cuore? o meglio ancora, quali sono i desideri del tuo cuore, a cosa è attaccato? E in seguito una domanda forse un po tosta, ma necessaria: tutto questo a cui è attaccato il tuo cuore, ti procura pienezza, appagamento, o sono distrazioni? Distrazioni che magari ti procurano un piacere o una gioia passeggera, ma niente di serio e che duri veramente. E in fin dei conti, se siamo sinceri, il cuore umano ha bisogno di qualcosa che duri, e per cui valga la pena spendersi. Gli idoli, dall’altra parte, sono tutte quelle realtà a cui noi diamo il potere di gestirci, di definire chi dobbiamo essere e come dobbiamo essere e cosa dobbiamo fare. L’idoli sono quelle realtà a cui affidiamo il compito di riempirci, di appagarci… ma essendo idoli il modo in cui ci riempiono non è altro che fittizio, è un vuoto, perché prima o poi si ribellano per ciò che sono: idoli e basta, una copia venuta male di quello che in fondo desideriamo. Il cuore umano, tornando al nucleo della questione, ha questo desiderio di infinito e di amore, e di essere amato. Ha bisogno di conoscere ciò che vero, di esperimentare il bello e di fare del bene. Questo da senso alla propria esistenza, ci libera dalla noia e dalla solitudine, così diffuse nel nostro mondo, soprattutto dove ce, per assurdo, più benessere e possibilità. Un idolo non sarà mai in grado di riscattarci, di rassicurarci, di donarci la pace del cuore che ogni persona vorrebbe vivere… un bene finito non potrà mai colmare la sete di infinito che alberga il cuore umano. Il compito affidato ai ragazzi è quello di interrogare il proprio cuore, cosa che dovremo fare tutti senza distinzione di età, su ciò che orienta il suo agire, il suo sentire. Chiedersi personalmente a quali idoli abbiamo affidato la nostra vita, e il nostro io, a chi o cosa abbiamo dato il potere di definire chi siamo e cosa facciamo, rinunciando, alla bellezza che ognuno di noi è nella sua autenticità e unicità. 

Finita la conferenza ci riuniamo in gruppi, chiacchieriamo per circa un’ora e poi mangiamo. Dopo mangiato lo staff si riunisce per spiegare l’ultima giornata qua in Ecuador. Ci aspetta la benedizione delle case. Domani però, dopo una settimana intera, la sveglia non sarà più alle 6:30 ma alle 8:30!

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Solita sveglia delle 06:30, preghiera del mattino, prima colazione e partenza verso la parrocchia per l’adorazione e la messa. Verso le 10 siamo sui terreni dove verrano costruite le seconde quattro case, quindi otto in totale, che faremo quest’anno qua a Canoa. Le famiglie hanno chiesto permesso nei rispettivi lavori per rimanere a casa e stare con noi mentre costruiamo. Diciamo casa per dire perché in realtà sono ormai terreni vuoti che verrano riempiti con le nuove casette. 

Si lavora sodo fino alle 13, orario in cui le persone del comune ci portano il pranzo. Qua la politica, come in tutto il mondo penso, è tutto un tema. Cioè quelli del comune hanno fatto in modo di far pensare alle famiglie che se hanno le case è grazie al comune. Non è che mi importi più di tanto se loro sanno che siamo noi con le donazioni ad aver preso le case per loro, mi preoccupa solo che si sentano debitori nei confronti di un comune che ha fatto ben poco per loro negli ultimi tre anni e che ora sono bravissimi a presentarsi con la tv locale, fotografi ed intervistatori. Ci siamo messi d’accordo con il comune che loro dovevano provvedere al trasporto quotidiano e ai pasti, che era il modo concreto con cui avrebbero “partecipato” alla costruzione/donazione delle otto case. Devo riconoscere che con i pasti sono stati bravissimi, anche se bisogna dire che  la fame delle 13 distingue poco di qualità ma vuole solo quantità! Invece con il trasporto sono stati un po disastrosi… Comunque niente che non siamo stati in grado di sistemare.

Siamo tornati a casa verso le 16, e ci siamo preparati per andare in spiaggia per il rosario quotidiano e poi la conferenza di Benji, sul seme e la sabbia e non solo. La presentazione è ricca di esempi, di approfondimenti e collegamenti con diversi brani della bibbia. L’obbiettivo delle conferenze e venir incontro al bisogno umano che la propria fede si intrecci, abbia a che fare, con la propria vita, e che la fede non sia vissuta come un extra che non da sapore e sfama la propria vita. Dopo la conferenza ceniamo e poi ci dividiamo in cinque gruppi. Nel gruppo che ho avuto ricevo felice le impressioni delle ragazze riguardo l’esperienza fino a questo momento. È un po’ quello che scrivevo ieri. La preghiera, i diversi momenti, tutto sommato poco più o meno di due ore al giorno, da i suoi frutti e diventa piano piano, nella quotidianità, un’occasione di ristoro, di incontrare se stessi e di fare esperienza di una certa pace e tranquillità che sono difficili di incontrare nella vita “normale” dall’altra parte del mondo. Sono in tanti a scoprire in sé un’inquietudine verso la preghiera, imparare a pregare, scoprire la personale modalità di incontro e di rapportarsi con Dio. Nel fondo ognuno di loro scopre che in qualche modo la preghiera da qualcosa che nessun altra esperienza riesce, e che è una sensazione di pace e serenità nonostante fuori, le preoccupazioni o sofferenze per esempio, restino così come sanno. Una sorta di conferma che esiste veramente la serenità o la pace interiore in mezzo alle sofferenze. 

Forse un riassunto di ciò che veniamo scoprendo, della strada camminata insieme, è che il cuore dell’uomo non è fatto per questo mondo finito, ma che esiste per l’eternità. Tempo fa, tanto tempo fa, infatti, ho letto da qualche parte: “Il cielo fu il primo amore dell’uomo, e la terra solo un sostituto”

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Tutto il rito di prima mattina sarebbe stato uguale ai giorni precedenti se non fosse stato per una problematica novità. Il paese dove siamo alloggiati riceve l’acqua potabile da un pozzo in alto ad una piccola montagna, ma i tubi si sono rotti e saranno in manutenzione nei prossimi giorni… giorni, non giorno, ma giorni, quindi ci è stato detto che non ci sarà acqua almeno fino a sabato. Quindi almeno per oggi niente doccia la mattina… e partiamo sperando che nel pomeriggio, al ritorno del lavoro e soprattutto oggi che ci tocca scaricare il camion e trasportare i moduli delle ultime 4 case qua in Ecuador, l’albergo sia riuscito a trovare una soluzione!

Dopo la messa incontriamo il camion con i moduli per le 4 case parcheggiato davanti all’altro lato della strada. Il posto per lo scarico dista circo 800 metri, quindi decidiamo di salire sul camion e andare piano piano. Nel parco, o sorta di, ci aspettano quattro signore che si presentano e una ad una iniziano a raccontarci la loro breve storia. Sin dalla prima testimonianza iniziano i pianti. Nel raccontare il terremoto, come avevano perso tutto, e come da tre anni che vivono in una tenda al intemperie, ognuna di loro si commuove e piange. Tutte quante ringraziando infinitamente e assicurando che avrebbero fatto qualsiasi cosa per noi nel caso ci fosse il bisogno. L’ultima testimonianza è quella più tosta da digerire per noi… Juana non ha “solo” perso la casa tre anni fa, ma anche un figlio tra le macerie della vecchia casetta. Il contrasto è molto forte, siamo passati da scherzare e ridere, stare un po tra noi, appena scesi dal camion, contenti dell’inizio della giornata, a sentire queste testimonianze una più tosta dell’altra… al silenzio seguono degli applausi, e ad essi segue un abbraccio di gruppo ad ognuna delle signore… E da lì in poi non ci si ferma fino alle 17, quando finiamo non solo di scaricare il camion, ma di portare in ogni terreno i materiali per le case. Tocca dire che uno dei terreni è molto vicino a dove dormiamo, mentre gli altri tre stanno veramente lontano. 

Il partecipare a messa ogni giorno ci mette a contatto diretto con la Parola, ovvero il Vangelo, ed è difficile non trovare collegamenti quotidiani con quanto stiamo vivendo. “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro”, è l’invito che fa Gesù. E questa è l’esperienza sia di queste 4 donne, forti, e tanto provate dalla vita, che in mezzo al dolore e la sofferenza riescono a rimanere speranzose. Non lo dico perché l’abbia visto, ma perché è ciò di cui loro stesse rendono testimonianze. Uno potrà anche dire che la fede e la speranza è l’ultimo che li è rimasto, io non posso giudicare la coscienza delle persone, posso solo fidarmi di loro quando mi dicono che la loro forza, il loro ristoro, è stato ed è tuttora Dio. Ma è anche l’esperienza dei ragazzi, coscienti o meno, e di noi che li accompagniamo, che dopo ogni lunga giornata di lavoro, troviamo riposo e ricarica nella preghiera del rosario dinanzi al mare. Si prova una pace e un ristoro, riposo, che una bella dormita difficilmente ti garantisce… forse è cinese quanto sto scrivendo, sono quelle cose che te le possono raccontare in mille modi, ma finché non le vivi in prima persona, non le puoi capire, e quindi puoi solo ascoltare, credo io, con tanto rispetto. 

Al ritorno dal lavoro veniamo a sapere che i proprietari dell’albergo sono riusciti a trovare un camion cisterna che ha riempito l’acqua, e quindi potremo farci la doccia. Ovviamente per la gran parte dei ragazzi la tappa in doccia può accadere solo dopo un lungo tufo in mare. Abbiamo anticipato la cena alle 19:30, perché alle 20:30 dobbiamo essere dall’altra parte della città per partecipare a un falò organizzato dalla parrocchia. Qua ci sono due sacerdoti italiani, uno calabrese e l’altro genovese, e hanno insistito molto sulla nostra presenza oggi. Partiamo senza sapere cosa aspettarci e tra noi consacrati ci sono diverse posizioni a ciò che potrebbe essere questo falò con dei ragazzi della parrocchia e quelli di un gruppo di missionari americani di nome FOCUS. Arriviamo in spiaggia, delle candeline in torno fanno da via verso il falò, ci sono anche delle palme e fanno tanto ambiente. Poi parte la musica a palla e i ragazzi italiani danno il ritmo, e li seguono tutti gli altri… noi siamo un po disparte e guardiamo con un po di distacco la scena… cioè se voglio andare in discoteca ci vado, non organizzo una venuta bene a metà sulla spiaggia! Comunque poi si ferma la musica e iniziano i giochi. A questo punto non capisco come fanno i ragazzi ad avere ancora le forze. Giocano, ballano, saltano, cantano… alle 21:45 ordino la ritirata, domani si ricomincia alle 6:30 e mi serve che i ragazzi siano riposati! Arriviamo a casa verso le 22:15, e i ragazzi vanno avanti di “lupus” (un gioco) fino alle 23:30…

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