La sveglia doveva essere per tutti alle 7:30, frutto dell’insistenza dei ragazzi vista la stanchezza. L’accordo era però che alle 11:45 dovevano già stare a letto, e soprattutto non iniziare con gli scherzetti notturni. Purtroppo la gioia dell’ora in più di sonno è durata pochissimo, visto che qualche furbo, bulletto, ha messo del dentrificio dentro il sacco a pelo di un altro… quindi la sveglia è slittata di nuovo alle 6:30… preghiera del mattino e partenza alle 9.
Dalle 10 alle 11 i ragazzi si divisi nelle solite squadre e hanno fatto un ultimo giro di controllo delle case, sistemando e concludendo quello che era rimasto incompiuto i giorno prima. Alle 11 ci siamo radunati nel campo da calcio insieme a tutte le famiglie. Abbiamo fatto una preghiera per iniziare la benedizione delle case e poi casa per casa, preghiera, parole della famiglia beneficiaria e benedizione con l’acqua benedetta. Abbiamo finito verso le 14:30. Ci siamo nuovamente riuniti nel campo da calcio per mangiare insieme quanto le famiglie avevano cucinato per noi. Un pollo al vino, fatto rigorosamente con acqua da bottiglia, del riso in bianco e delle patate cotte. In seguito mega torneo di calcio a 5 squadre, chi vinceva rimaneva in campo. Così la squadra dello staff è rimasta tutto il tempo in campo, vincendo tutte le partite e subendo zero gol!
Siamo tornati verso le 18 e ci siamo riuniti nell’auditorio, per ascoltare la lettera finale del viaggio. Finita la lettura della lettera, ogni ragazzo ha ricevuto un foglio, una penna, e una busta. Si sono dispersi nei diversi spazi dell’albergo per scrivere la lettera a sé stessi. Alle 20:30 ci siamo rincontrati in auditorio, questa volta per celebrare la messa di fine missioni e avere 30’ di adorazione. Poi abbiamo mangiato, e i ragazzi piano piano hanno avuto nuovamente il loro cellulare. A mezzanotte festeggeremo Alessia, che compie 18 anni e probabilmente faremo “after” fino alle 4 che partiamo verso l’aeroporto. Le missioni si concludono così, e sinceramente ho scritto tanto in questi giorni che in questo preciso momento non saprei cosa altro scrivere. Qua sotto la lettera ai ragazzi, alcune cose fuori contesto magari non si capiscono… ma tutto sommato credo che i ragazzi hanno apprezzato e tanto…
Cosa ti porti nel cuore dopo quest’esperienza? Solo ciò che sei riuscito a custodire nel tuo cuore potrà dare frutto al ritorno alla tua vita dall’altra parte del mondo. Solo ciò a cui sei riuscito a dare un nome, nel bene o nel male, potrà essere una risorsa preziosa per crescere, per migliorarti, per dare sempre la parte più bella di te. Ogni granello di sabbia con il quale hai un po nascosto il tuo cuore, a volte forse anche seppellito totalmente, ha un nome. Ogni seme che hai voluto far crescere dentro al tuo cuore ha un nome. È importante saper dare un nome a ciò che viviamo dentro. Non basta dire “sto bene”, “sto sereno”, “son felice” o “mi sento in pace”, o tante belle e vere cose che vi ho sentito dire in questi 16 giorni passati insieme. Queste frasi rappresentano una realtà che stai vivendo, ma che sgorga dalla profondità del tuo cuore. Sono vissuti, esperienze, emozioni, che hanno dietro un motivo, una causa. E al motivo, o meglio ai motivi, è fondamentale dare un nome perché sarà su quello che potrai costruire d’ora in poi su una terra salda e fertile la persona che vuoi essere, che probabilmente hai sempre voluto essere e che solo timidamente e in determinate situazioni si manifestava, e che forse in questi giorni ha avuto la meglio su tutto ciò che di te non ti piace, che ti allontana dalla parte più bella di te e ti riduce alle tue ferite, paure, insicurezze o ansie, insomma a tutto ciò che in qualche modo ti fa sentire inadeguato, sbagliato, e in fondo ti fa anche percepire quella fame e sete di infinito, di una grandezza che non finisca mai, di un qualcosa in grado di dare senso alla tua vita, a tutta essa, non solo a tutto ciò di cui vai fiero, ma a tutto quanto, persino e forse soprattutto a tutto ciò che ti ha ferito e ti fa soffrire.
All’inizio del nostro viaggio, o meglio appena arrivati alla nostra prima destinazione, abbiamo partecipato insieme alla messa e il Vangelo era proprio adeguato a quanto stavamo iniziando a vivere. La pretesa di poter controllare tutto è un vizio della nostra società moderna. Ma non è vero che possiamo controllare tutto. Molte cose è vero che dipendono da noi, ma pur facendole al dettaglio ci sono tanti aspetti della realtà che scappano a ciò che noi possiamo o vogliamo fare. Da noi dipende solo quanto decidiamo di dare, e vi insisto, bisogna dare il massimo, sforzarsi al massimo a partire da chi tu sei, e dare non solo in senso materialistico, ma in un senso più ampio e profondo. Il Vangelo insomma ci parlava di una folla affamata, e probabilmente possiamo dedurre che era anche molto assetata. Agli apostoli viene chiesto di dare quei cinque pani e due pesci che avevano con sé. Solo dopo che li hanno messi a disposizione del maestro, di Gesù, Dio può operare il miracolo, e si dà da mangiare a una folla immensa partendo solo da quei pochi doni. Non sono un teologo, qualche corso l’ho fatto, ma quelli più basilari. E non è questo il momento per approfondire il miracolo in sé. Ciò che mi sembra più bello e adeguato per quanto abbiamo vissuto è come, per fare una cosa grande, ci può venir chiesto qualcosa di molto piccolo. Appunto come il seme che poi con pazienza, tempo e dedizione può dare luogo a un bosco intero. Non ci viene chiesto di sfamare la folla, ma di mettere a disposizione quei pochi pani e pesci nelle nostre mani. Senza quei pani e pesci niente sarebbe potuto accadere. In questo viaggio, come nella vita, vi è stato chiesto più volte di mettere a disposizione ciò che avete, o meglio ancora ciò che siete. E non importa che sia poco o molto, perfetto o imperfetto, l’unica condizione affinché tutto ciò dia un frutto grande, e parlo di una grandezza qualitativa non quantitativa, era metterci il cuore, mettere quel poco o molto che noi siamo.
Dio senza di te non ce la può fare. E so che questa affermazione può essere molto in contraddizione con tante idee che vi siete fatti su Dio. Dio davvero senza di te non ce la può fare. Sei importante perché sei unico, e come te non c’è stato, non c’è e non ci sarà mai nessuno. Il tuo modo di fare le cose è unico, non tanto a livello pratico, ma soprattutto con il cuore o l’anima che solo tu sei in grado di dare. Il tuo modo di amare è unico, i tuoi sentimenti e le tue emozioni sono uniche. Il modo in cui compi determinati gesti è unico. Come sono uniche tutte le persone a cui solo tuo puoi arrivare in un determinato modo. Sei davvero importante, non solo per Dio, ma per la creazione tutta. Quando parlavamo della profondità abbiamo letto il racconto della creazione contenuto nel libro della genesi. Uno dei più bei messaggi che esso poteva lasciare in voi è che voi, ognuno di voi, è al centro della creazione, siete, siamo, la creatura più importante, più bella, più grande tra tutte quelle uscite dalle mani di Dio. Ogni volta che rinunci a dare il meglio di te, che decidi di non essere la persona più bella che puoi e sei in grado di essere, si perde qualcosa. Perde qualcosa la creazione, perde qualcosa la società, perdono qualcosa quanti ti circondano, perdi qualcosa tu stesso. Niente di quanto abbiamo fatto, di quanto avete fatto, in questi giorni, sarebbe stato possibile senza i tuoi pani e pesci. E allo stesso tempo, niente di quanto avete fatto, sarebbe stato possibile senza la presenza di Dio in mezzo a noi, perché ricordiamolo: è Lui che moltiplica i nostri doni, è Lui l’acqua, la terra e la luce che servono al nostro seme per crescere e dare vita.
Nella Messa di due giorni fa, il padre ci ha fatto notare qualcosa di molto bello e simbolico per noi a partire dall’esperienza delle famiglie per cui abbiamo costruito le case questa settimana. L’esperienza di dover tirare giù tutta la loro vecchia casa. Tirar giù qualcosa che hai costruito per anni, che è anche frutto di tanti sacrifici e sforzi, una tua sicurezza fino a quel momento indipendentemente da quanto sia bella. Tirare giù il luogo dove hai vissuto diversi momenti, sia di gioia che di sofferenza, ha qualcosa anche di molto duro, direi quasi traumatico, ragazzi. Non so quanto siate consapevoli di questo. Nonostante tutta l’insicurezza che questo può significare, loro lo fanno, ma perché lo fanno? Perché sanno, perché hanno visto, che c’è qualcosa di più bello e grande che li attende. Questa gente è in grado di fare questo sforzo perché sa che potrà avere una casetta più bella, più calda, da riempire nuovamente con nuovi vissuti e dove custodire nella memoria i vissuti passati. Anche a ognuno di voi viene chiesto questo in un certo senso. Si parla però della casa della vostra interiorità. In questi giorni trascorsi insieme avrete probabilmente conosciuto e visto aspetti di voi che o non conoscevate o a cui davate poca importanza. Avete anche visto aspetti di voi che vi sono di intralcio per essere felici, modi di pensare, di porvi, di fare determinate cose, lo sguardo che avete di voi stessi. Ci sarà bisogno, lo vedrete, non solo di dare un nome a tutto ciò, conoscendo voi stessi, ma anche di tirare giù qualcosa, cambiare tanti modi di pensare e di vedere la realtà e voi stessi. Questo è un lavoro che può essere difficile e anche doloroso. Può significare anche aprire vecchie ferite. Ma se volete mantenere ciò che avete vissuto qua, ciò che avete visto di voi stessi qua, vi toccherà farlo, vi toccherà demolire qualcosa per poter costruire e ricostruire con una forza più grande e più solida.
Quando crediamo di essere già arrivati, che non c’è nulla in noi da cambiare, a volte persino dalla radice, è lì che smettiamo di crescere, è lì che smettiamo di fare affidamento. Quando uno viene qua, in uno di questi viaggi, uno parte con l’idea, almeno quasi tutti, di ciò che si viene a fare per le altre persone. Uno pensa alle persone bisognose che conoscerà e che in qualche modo aiuterà. Ed è vero, avete fatto tante cose belle. Forse la cosa più bella non sono però tutte le cose materiali, così necessarie per loro, ma sono i momenti vissuti con loro, con ogni persona che avete incontrato in questi giorni. Le parole scambiate, i gesti, gli abbracci, i sorrisi, un pensiero, il tempo passato insieme. Ed è il valore di tutto ciò quello che ci dovrebbe portare a chiederci, sinceramente: cosa mi manca di ciò che è essenziale nella vita? Cosa, di ciò che conta veramente, non è in mio possesso o non fa parte della mia quotidianità? A cominciare forse dalla gratitudine. Come tutti gli anni sono rimasto molto toccato dalle parole di ringraziamento che casa per casa, famiglia per famiglia, vi venivano rivolte. Cioè nel fondo lo sappiamo, in un senso non abbiamo fatto tutto questo cambiamento. Abbiamo donato loro qualcosa di bello, quasi giocando, dando il meglio di noi anche se a volte le forze mancavano. Ma loro continuano così, a vivere un po’ così, contando i soldi per poter mangiare, mendicando qualche vestito per proteggersi dal freddo e qualche paio di scarpe a noi avanzate per proteggere i loro piedi. E nonostante questo hanno una leggerezza, che non vuol dire sofferenza, ma purezza. Hanno qualcosa di puro negli occhi quando ti guardano, che potrebbe essere sì timidezza, ma penso sia soprattutto innocenza. Ci hanno ringraziato con il cuore in gola, alcune si sono commosse al punto di piangere, e probabilmente hanno fatto piangere anche noi. Qualcosa che a voi probabilmente è sembrato così piccolo e poco, soprattutto in confronto con tutte le cose belle che avete, per loro è tanto. Ma sapete che… anche se voi non aveste costruito niente per loro, e foste solo venuti per passare del tempo insieme, per giocare con i bambini, magari fare solo qualcosa di produttivo con i compiti, sareste stati accolti e ringraziati allo stesso modo. Esattamente come vi è successo la prima settimana nei pomeriggi ad Arequipa. Non siamo andati a dar loro niente di materiale, solo un po’ del nostro tempo, e guardate, e pensate ai rapporti che si sono stabiliti, all’intensità di essi. C’è qualcosa di molto umano e profondo che trascende ogni nostra differenza. Ammettiamolo, da tanti punti di vista siete diversissimi da loro. Ma c’è qualcosa di più grande che vi ha unito e che ha reso possibile scavalcare qualsiasi tipo di differenza, quel desiderio del fondo del cuore di amare ed essere amati, e aggiungerei anche di lasciarsi amare.
A volte la prima difficoltà è quella di lasciarsi amare. Non sappiamo più come accogliere l’amore o ci riteniamo, nascostamente, indegni di ciò, come quando abbiamo paura di cercare qualcuno per confidarci perché ci sentiamo in colpa all’idea di essere un peso per l’altro. Abbiamo tutti il bisogno di sentirci amati, ma profondamente amati, come quando ti abbracciano forte e ti senti protetto, riscaldato, al sicuro. Perché l’amore vero fa proprio quello, ci dà sicurezza permettendoci di essere autentici. Non ci sono condizioni per l’amore vero, ti ama e basta, persino prescindendo dalla nostra risposta. Non esiste amore umano, non esiste amore su questa terra, che sia in grado di saziare la fame infinita di amore che abita nel cuore di ognuno di noi, non esiste. Ogni volta che lo cerchiamo in qualche altra persona, affidiamo ad essa un compito che non è in grado di compiere… e non perché questa o questo siano cattivi o non ci amino veramente, ma perché non esiste amore umano infinito, siamo finiti, limitati, non è una questione in termini di negativo o positivo, è un dato di fatto. Lo avrete sentito più di una volta, persino l’amore dei nostri genitori, che è di quanto più vicino all’infinito potrete trovare su questo mondo, è un amore finito, soggetto al limite, e insieme ad esso a tutte le difficoltà personali di qualsiasi persona: l’impazienza, i rancori, la stanchezza… E questo non vuol dire che i nostri genitori non vanno bene, vuol solo dire che ogni amore umano è insufficiente. Come ci spieghiamo cari ragazzi che persino chi ha tutto a casa, persino una famiglia fantastica, provi più o meno le stesse cose, magari con minore intensità, in termini di nostalgia di infinito? Come ci spieghiamo che nelle nostre culture, nel nostro occidente così benestante e con tante facilità e possibilità, ci siano tra i tassi più alti di suicidi tra i giovani o di uso di antidepressivi sin da molto giovani? Il cuore di ogni persona, della persona che tu sei, di quella che in questo momento ti sta accanto, di quelle che hai incontrato in questi giorni e di quanti incontrerai nel futuro ha bisogno di un amore che è molto più grande di qualsiasi amore che potrà mai trovare su questa terra, di una sicurezza che è assolutamente qualitativamente più forte di qualsiasi sicurezza che tu possa guadagnare con le cose materiali o i propri successi. Non è una lode all’essere povero né al non sforzarsi nella vita per raggiungere degli obbiettivi. È un invito a mettere le cose al posto loro, distinguendo che nella vita ci sono cose importanti e secondarie, e ci sono anche quelle essenziali che stanno al di sopra di tutte le altre. È essenziale che tu ti percepisca amato, non che tu prenda il massimo di voti a scuola, il che è importante, ma non essenziale. Puoi essere la persona più ricca al mondo, piena di capacità anche umane, o di successi, ma se non hai amore, se non ti scopri amato, non sei nulla, non hai nulla, davvero. Ma nessuno ti potrà mai amare se non mostri il tuo vero volto. L’amore suppone la verità, prima di tutto di te stesso. Se non sai chi sei e non ti mostri cosi come sei, darai agli altri la possibilità di amare qualcuno che non sei tu, o solo una parte di te, quella più facilmente di amare probabilmente, ma non sarà un amore completo. Perché tante volte ci consentiamo di far male ai nostri genitori in diversi modi? Perché in fondo sappiamo che loro non ci lasceranno mai, ma proprio mai, e un po’ ce ne approfittiamo… insisto, il tuo cuore ha bisogno di un amore che niente su questo mondo può darti. Non esiste persona, successo, materialità che possa colmare il tuo cuore.
Sei nato per fare cose grandi, ma grandi non di quantità ma di qualità, cioè sei nato per fare cose belle? Quante cose belle hai fatto in queste settimane? E quante cose belle riesci a fare a casa? Cosa pensi che ha reso possibile che tu a fine giornata potessi arrivare a casa, metterti a letto, con il cuore pieno, sereno, persino con un sorriso? Quando ti mancava tutto ciò che ha a che fare con la comodità? Hai fatto cose belle, quelle che danno pace al cuore, quelle che ti permettono di andare a letto a fine giornata con un sorriso e con il cuore in pace! Devi trovare il modo di replicare tutto ciò a casa, perché tu sei chiamato a stare a casa tua, è lì a casa, dove ti ha voluto Dio, che devi seminare e dare frutto. Quali cose belle farai di ritorno a casa, quelle cose che parlano di ciò che sei? Sai che c’è, è normale che alla tua età uno forse abbia più dubbi che certezze. E in realtà non è così importante la quantità o proporzione tra dubbi e certezze. Ciò che è fondamentale, molto molto fondamentale, è che tu abbia la certezza che sei amato, che sei amata e che niente di ciò che hai fatto nel passato, o che hai subito nel passato, può cancellare ciò. In quanto amato sei stato scelto, scelto perché c’è qualcuno che ti conosce più di quanto tu stesso ti conosca e potrai mai farlo, e vede in te una realtà meravigliosa, un capolavoro. Vedendoti ti benedice, cioè dice il bene di te, ti ricorda che la tua vita è preziosa, ha un valore inestimabile, che vale la pena essere te, con tutto ciò che c’è di bello e con tutto ciò che c’è di male o di ferito. Perché appunto è un amore vero, autentico, incondizionato, a prescindere, non è frutto di un tuo merito, è frutto di un amore che sorpassa tutto. È un amore in grado di sanare tutte le tue ferite, è un amore in grado di farti perdonare tutto ciò che inquina il tuo cuore, che lo incatena, che non ti lascia essere libero di amare come vorresti. Ed è soprattutto un amore che nell’amarti, ti prepara per amare, non come vieni amato, perché quello è un opera divina, ma ti aiuta ad avvicinarti a vivere quell’amore infinito e incondizionato di cui ogni cuore umano ha bisogno. E sai che c’è, che quando fai esperienza di questo amore, allora la serenità entra nel tuo cuore, e ti fa star bene, ti fa stare in pace, perché sai che non importa che succeda, tu sei nelle mani di un Padre che ti ama e protegge sempre. Non è che poi non soffrirai, ma che ci potrà essere serenità in mezzo alla sofferenza, assurdo, no? Pace nella sofferenza. Tutto nella tua vita ti serve, assolutamente tutto, anche i momenti più scuri. Tutto questo è possibile perché a Dio niente è impossibile, davvero…
Ma qual è il volto di questo Dio, è Gesù ragazzi. Quel Gesù che era presente in ogni adorazione che avete fatto. Quel Gesù che dà la vita per gli amici, che ha parole di vita eterna, ovvero di vita infinita, quella che ogni cuore desidera, quel Gesù che ci racconta di questo Padre che ama con un amore che sussiste a prescindere da tutto. Quel Gesù che guarda dentro al nostro cuore e ci ama per ciò che siamo, permettendoci di non dover nascondere nulla, come alla Maddalena e alla Samaritana di cui ci hanno parlato Ben e Juanfer. Ma noi possiamo solo indicarvi una strada, la strada che a noi, ad ognuno di noi consacrati, ha riempito la vita e il cuore. Una strada che non è stata libera di sofferenze, ma una strada di vita piena. Ma sta ad ognuno il percorrerla. E quella è una scelta personale… prova a dare a Dio un’opportunità, forse ti stupirà, ma dagliela davvero, non dargli le briciole del tuo tempo, sforzati davvero, al resto ci penserà Lui.
Grazie di tutto ragazzi, siete stati, almeno fino al momento, un bellissimo gruppo. Sono stupito che non ci sia stato nessuno, al meno non in modo eclatante, che abbia cercato di risparmiarsi in ogni momento. Avete segnato i cuori di tante persone, e sono sicuro che anche loro hanno segnato i vostri. Grazie dai vostri sorrisi, dalla vostra fiducia, dalle vostre vite. Scusateci se in qualcosa non siamo stati all’altezza, o abbastanza disponibili, o se c’è qualcosa che venendo male vi ha portato malessere.
Grazie a voi ragazzi dello staff, senza di voi questo viaggio non sarebbe stato ciò che è stato, so che suona un po scontata come frase, ma è vera, siete stati, quasi sempre, un grandissimo sollievo per me e per gli altri consacrati. E a voi toccherebbe dedicare un altra lettera, ma penso che questa vi possa comunque servire in qualche modo. Grazie di cuore a ognuno di voi.
Grazie anche ai miei confratelli per la vostra testimonianza di fede e la vostra disponibilità per tutti questi ragazzi. Grazie speciali a padre Gonzalo, che bello poter contare su un sacerdote in una esperienza come questa. Che peccato che con il passo del tempo le persone facciano più difficoltà a percepire e risponder a una possibile chiamata al sacerdozio, forse non siamo abbastanza consapevoli di tutto ciò che perderemmo se loro non ci fossero.
Grazie, anche se non sono qua presenti, alle persone che ci hanno dato l’opportunità di aiutarle. Credo che ognuno di noi è molto debitore di loro.
Infine, grazie Dio, che con quell’amore incondizionato ci ha nutrito lungo tutto questo viaggio. Se abbiamo potuto vivere tutto ciò che è stato questo viaggio, è prima di tutto opera Sua.